Trieste Science+Fiction 2018: La nuit a dévoré le monde, la recensione
La recensione del film La nuit a dévoré le monde, presentato al Trieste Science+Fiction Festival
Il suo personaggio, Sam, si ritrova a una festa organizzata in un appartamento della capitale francese a cui partecipa anche l'ex fidanzata. Il giovane si ritira in una stanza per attendere che la situazione si calmi un po' e gli passino gli effetti dell'alcol, finendo però per addormentarsi. Al suo risveglio Sam ha davanti a sé una scena apocalittica: tutti gli ospiti si sono trasformati in zombi pronti ad attaccare e uccidere, mentre nelle strade gli ultimi esseri umani sopravvissuti stanno venendo sistematicamente sterminati dai non morti. Il ragazzo riesce a mettere in sicurezza l'edificio in cui si trova e recuperare delle scorte di cibo e beni di prima necessità. Ritrovarsi a essere l'ultimo umano in vita ha però delle conseguenze negative e non basta la "compagnia" dello zombi Alfred (Denis Lavant), rinchiuso in un ascensore, o i tentativi falliti di salvare un gatto per colmare la solitudine che inizia a provare il ragazzo.
La nuit a dévoré le monde pone al centro della trama un giovane molto distante da figure eroiche che potrebbero protagoniste di progetti analoghi, considerando che non si sforza in nessun modo di indagare sulla natura di quanto sta accadendo o cercare un modo di avventurarsi nel mondo esterno senza rischi per trovare eventuali sopravvissuti. Il film mostra infatti Sam compiere una serie di azioni necessarie semplicemente a vivere in solitudine, dando spazio al proprio lato musicale componendo brani con gli strumenti, anche improvvisati, recuperati nell'edificio o pensare alla propria sopravvivenza. La prospettiva del protagonista, rispetto ai primi minuti, non sembra in realtà cambiare considerando gli altri fin dal principio quasi dei mostri da cui prendere le distanze e cercando un proprio spazio all'insegna della solitudine. La progressiva creazione di una normalità all'interno di un contesto terrificante rappresenta uno spunto narrativo interessante, seppur rischioso da proporre a un pubblico abituato a una rappresentazione dei morti viventi maggiormente all'insegna dell'azione e dei pericoli.
Rocher riesce, grazie alla performance del suo protagonista, a condurre il lungometraggio a un epilogo piuttosto convincente, pagando però il prezzo di una narrazione che fatica a trovare un ritmo che sostenga senza rischiare di annoiare gli spettatori che si attendono un maggior numero di rischi o sfide tra gli edifici decadenti e architettonicamente bellissimi di Parigi.