Trieste Science+Fiction 2018, Jonathan: la recensione
La recensione di Jonathan, il film di Bill Oliver, presentato al Trieste Science+Fiction Festival
Al centro della storia c'è il ventiquattrenne Jonathan (Elgort), un aspirante architetto che soffre di una malattia che solo il fratello John riesce a comprendere. Le loro vite procedono su binari paralleli destinati a non incontrarsi mai e le interazioni avvengono solamente tramite alcuni video in cui raccontano le proprie giornate e gli eventi piccoli e grandi che segnano le rispettive esistenze. La situazione cambia radicalmente nel momento in cui Jonathan si rende conto che John gli sta nascondendo qualcosa e scopre l'esistenza di Elena (Suki Waterhouse), una barista che si trova a dover affrontare una situazione inaspettata.
Da segnalare, inoltre, la perfomance di Patricia Clarkson nella parte della dottoressa Mina Nariman, una figura essenziale all'interno della vita dei due fratelli e di cui si scopre progressivamente l'importanza, facendo emergere il suo lato più materno ed emotivo seguendo la progressione della trama e le rivelazioni riguardante un passato traumatico che ha segnato Jonathan e John, entrambi da sempre alle prese con sogni non destinati a realizzarsi.
Il delinearsi della propria identità, nelle mani del filmmaker, assume a tratti un'atmosfera dark nei momenti in cui si svolge una lotta interiore tra depressione e voglia di vivere, trovando così un sentiero piuttosto originale, seppur non inedito, per riflettere sui desideri irrealizzabili presenti nella vita di ogni essere umano e di come sia possibile individuare il proprio posto nel mondo nonostante ostacoli che sembrano quasi insormontabili. Jonathan rappresenta un esordio davvero convincente e permette a Elgort di mettere in mostra la propria versatilità, regalando agli spettatori un dramma psicologico che si segue con attenzione e la giusta dose di coinvolgimento.