Trieste Science+Fiction 2018: Elizabeth Harvest, la recensione

La recensione del film Elizabeth Harvest, presentato al Trieste Science+Fiction Festival

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In Elizabeth Harvest Sebastian Gutierrez (Girl Walks Into a Bar) si avvicina alla fiaba di Barbablù con un approccio a sfumature horror e sci-fi che intriga, pur non reggendo la tensione fino all'epilogo del film.
L'intreccio sembra solo apparentemente quello tradizionale: il brillante Henry (Ciarán Hinds) porta la sua giovane moglie Elizabeth (Abbey Lee) nella propria lussuosa residenza, piena di oggetti preziosi, sistemi di sicurezza e misteri. La donna fa la conoscenza dei domestici Claire (Carla Gugino) e Oliver (Matthew Beard), un ragazzo cieco. Elizabeth può muoversi liberamente in ogni angolo della casa tranne una stanza che è per lei off limits. Mentre Henry è assente per un viaggio di lavoro, la giovane si avventura però nell'area proibita, scoprendo un inquietante segreto.

Gutierrez propone una versione del famoso racconto in cui la protagonista, non appena ottenuta la conoscenza che le viene negata, deve essere sacrificata dall'uomo che se ne considera il creatore e custode. L'idea viene gestita piuttosto bene e l'intrecciarsi delle diverse dimensioni temporali, con numerosi salti nel passato, mantiene alto l'interesse nei confronti di quanto accade a Elizabeth, interpretata in modo lineare da Abbey Lee, performance che comunque si adatta alla natura del suo personaggio. L'evoluzione della protagonista non suscita particolari emozioni, rimanendo fredda anche a causa della recitazione abbastanza deludente di Matthew Beard, la cui importanza nella parte conclusiva del lungometraggio diventa così un elemento che penalizza eccessivamente il progetto. Carla Gugino regala invece la giusta dosse di fascino e carisma a una parte in cui il rigore e la passionalità si equilibrano, mentre Ciarán Hinds è sempre un attore di buon livello anche con una parte poco ricca di sfumature.

La regia di Gutierrez non è particolarmente ispirata e in più passaggi sono fin troppo evidenti le citazioni della filmografia di Brian De Palma e David Lynch. Le scelte cromatiche compiute da Cale Finot, con i forti contrasti tra blu e rosso, appaiono fin troppo esagerate e infondono a Elizabeth Harvest un aspetto quasi da b-movie. Il montaggio di Matt Mayer sembra poi, in più di un'occasione, affrettato e poco curato, con improvvisi cambi di scene e ambientazioni.

Il film sfrutta comunque bene le location scelte per le riprese, con una casa che diventa uno dei personaggi con le sue tante stanze, gli oggetti e i dipinti che fondono diverse influenze e origini.
Elizabeth Harvest, con un epilogo fin troppo complicato e intricato scivola proprio negli ultimi minuti in una narrazione sopra le righe, ma il lungometraggio risulta ugualmente un esperimento interessante e che merita una visione.

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