Trieste Science+Fiction 2018: El año de la plaga, la recensione

La nostra recensione del film El año de la plaga, presentato al Trieste Science+Fiction Festival

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El año de la plaga, il film diretto da Carlos Martín Ferrera, porta sul grande schermo il romanzo fantastico di Marc Pastor con una grande dose di ironia nonostante si racconti quello che potrebbe accadere se si venisse sostituiti da copie di noi stessi prive di emozioni e di empatia.

Al centro della trama c'è Victor Negro (Ivan Massagué), un assistente sociale nerd e reduce dalla fine della sua storia d'amore con Irene (Anna Serradilla), una dottoressa che non riesce realmente a dimenticare nonostante i tentativi dei suoi colleghi, pronti anche a organizzargli appuntamenti al buio con delle potenziali anime gemelle. Proprio mentre l'uomo sembra aver trovato nell'esuberante Lola (Miriam Giovanelli) il feeling giusto, la sua ex lo chiama per chiedere il suo aiuto: in ospedale ci sono due cadaveri identici e che presentano degli elementi misteriosi, mentre intorno a loro le persone iniziano a comportarsi in modo sempre più strano. La causa di questi strani eventi sembra essere una specie di pianta che si sta diffondendo ovunque, causando una "trasformazione" negli esseri umani, con alcune eccezioni.

Il lungometraggio si potrebbe quasi suddividere in capitoli, proponendo delle parti della storia dall'atmosfera e dallo stile molto diverso tra loro. L'inizio del film diretto da Ferrera rientra infatti nei canoni della commedia romantica un po' in stile Nick Hornby, con il protagonista così legato alla cultura pop e messo di fronte a una certa ingenuità nel gestire i rapporti sentimentali, tra "appostamenti" per controllare quanto accade all'ex e appuntamenti riusciti solo se ci sono delle conoscenze cinematografiche e musicali condivise. La parte centrale affronta invece il rapporto con Irene, facendo emergere i problemi e i punti di forza della coppia, mentre la parte conclusiva è maggiormente dedicata all'azione e al tentativo di sopravvivere da parte dell'umanità, in minoranza e pericolo rispetto agli "invasori".

La sceneggiatura così frammentata non limita la capacità di intrattenere che contraddistingue il lungometraggio, il cui messaggio sociale e la riflessione sui legami umani rimangono comunque superficiali e volutamente sacrificati a favore di una leggerezza che permetta agli spettatori una visione senza particolare impegno.

La buona interpretazione di Ivan Massagué, fisicamente ed espressivamente perfetto per la parte di un uomo comune che si ritrova a diventare senza volerlo un leader e un eroe, non è sostenuta dalle performance piuttosto sottotono degli altri membri del cast e l'esperienza di Silvia Abril è purtroppo limitata a un ruolo secondario, seppur non privo di momenti brillanti.
L'eccessiva retorica dell'epilogo non limita comunque il divertimento e Ferrera gioca con le citazioni senza mai prendersi troppo sul serio, confezionando così un thriller brillante la cui mancanza di ambizione, artistica e tecnica, si rivela in realtà una carta vincente.

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