The Man with the Magic Box, la recensione

La nostra recensione di The Man with the Magic Box, film diretto da Bodo Kox presentato al Trieste + Science Fiction Festival

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Il film è stato presentato al Trieste Science + Fiction Festival 2017

Il regista polacco Bodo Kox con The Man with the Magic Box prova a riflettere sulla direzione in cui si sta muovendo la società con un film che sviluppa in modo originale l'idea dei viaggi nel tempo. Adam (Piotr Polak), nel 2030, fugge dalla zona più povera di Varsavia per rifugiarsi nella Nuova Città, grazie all'aiuto di una società segreta che gli fa ottenere un lavoro come addetto delle pulizie e un alloggio in un edificio abbandonato. L'uomo nella casa trova una vecchia radio degli anni Cinquanta che trasmette musica del passato, situazione che lo porta a vivere delle esperienze inspiegabili, mentre in ufficio si innamora della bella Goria (Olga Boladz), un'impiegata dell'Ufficio Risorse Umane, con cui inizia una relazione complicata. Quando Adam scompare misteriosamente sarà lei ad andare alla ricerca della verità e a compiere un viaggio che la porterà in luoghi inaspettati.

Il film riesce a creare con bravura il senso di solitudine dei protagonisti nel futuro distopico creato per la finzione, contraddistinto da forti contrasti sociali e spazi desolati, delineando un un universo quasi asettico in cui gli esseri umani sono controllati in ogni loro spostamento dal sistema, persino per proporre potenziali acquisti, mentre le emozioni sono considerate quasi una debolezza da combattere. La creazione di questa dimensione credibile e affascinante è resa possibile dalla scelta delle location, dalla fotografia fredda ma ricca di sfumature, dall'uso dei costumi che diventano riflesso della personalità di chi indossa gli abiti, e dalle buone interpretazioni del cast, misurate e mai sopra le righe anche nei passaggi più surreali o fantascientifici. The Man with the Magic Box, inoltre, non dimentica di alleggerire il racconto con un pizzico di ironia e qualche citazione cinematografica (tra cui spicca un riferimento a Men in Black), proponendo anche degli elementi interessanti come la nuova natura degli “animali domestici” o la divisione fisica e geografica esistente tra i membri della comunità.

La sceneggiatura, davvero ricca di spunti e potenzialità, non sviluppa a dovere alcune idee, come la realtà esistente oltre il fiume o l'esistenza di androidi inconsapevoli della propria natura, ma riesce a non distogliere l'attenzione dalla necessità di un legame emotivo e di un contatto fisico tra individui, proponendo una storia d'amore atipica inserita in un contesto in cui sembra davvero difficile continuare a dare spazio alla speranza.

Il lungometraggio, pur dovendo fare i conti con alcune ripetizioni a volte ridondanti, possiede così la capacità di trasportare in un futuro affascinante che appare tristemente meno irreale e improbabile di quanto vorremmo credere.

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