Trieste Science+Fiction 2017 - Cold Skin, la recensione

La nostra recensione di Cold Skin, film diretto da Xavier Gens presentato al Trieste + Science Fiction Festival

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Xavier Gens, già regista di Hitman - L'assassino e di The Divide, ritorna con Cold Skin dietro la macchina da presa per portare sul grande schermo la storia raccontata nell'omonimo romanzo scritto da Albert Sánchez Piñol.

Gli eventi prendono il via nel 1914, dopo l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando. Un giovane arriva su una remota isola ai confini del circolo polare artico per iniziare il suo lavoro come osservatore meteorologico, un compito che lo costringerà alla solitudine per un lungo anno. Lo scorbutico guardiano del faro Gruner lo informa che il suo predecessore è morto di tifo, tuttavia la verità è ben diversa ed emergerà durante la notte. Il giovane, amante della letteratura e alla ricerca di una consapevolezza e una calma interiore che sembrano sfuggirgli, dopo il tramonto farà i conti con la terribile presenza sull'isola di creature marine dalle sembianze in parte umane che attaccano la sua casa. Sarà successivamente Gruner a spiegargli la lotta che si svolge ogni sera al calar delle tenebre, anche se l'uomo potrebbe nascondere più di un segreto.

Fin dai primi minuti il racconto a sfumature gotiche tratto dal libro di Piñol non nasconde le tante influenze letterarie che lo compongono: oltre a citazioni di filosofi come Friedrich Nietzsche basterebbe dare uno sguardo ai volumi che il giovane porta con sé sull'isola per avere una panoramica degli elementi alla base della storia. Stevenson, Lovecraft, Verne ed Edgar Allan Poe sono solo alcuni dei nomi delle fonti di ispirazione, ma non si possono nemmeno dimenticare Dante, con il suo Inferno dai tanti legami con la storia del protagonista, e l'ossessione al centro di Moby Dick, il capolavoro di Herman Melville. In questo caso, invece che in una selva oscura, il giovane osservatore meteorologico si ritrova perduto in un'isola fatta di rocce, vento e silenzio, circondata da un mare in costante tumulto che ben si adegua alla sua situazione psicologica. David Oakes (I Borgia) è infatti alle prese con un personaggio senza nome che ha deciso di abbandonare il suo passato per ritrovare se stesso nel nulla e l'attore è particolarmente bravo nel calarsi nella mente del protagonista e nel suo percorso che lo porta progressivamente a distinguere il bene dal male e a trovare l'equilibrio necessario a trovare il proprio posto nel mondo. Al suo fianco c'è Ray Stevenson (Thor: Ragnarok, Black Sails) con il suo guardiano del faro che ha scelto di dare spazio al suo lato più animalesco e istintivo, rinunciando quasi alla propria umanità per un motivo, svelato progressivamente, che cambierà totalmente la chiave di lettura del personaggio. E' invece Aura Garrido (El ministerio del tiempo) a trasformarsi totalmente per dare vita ad Aneris, una creatura diventata schiava del guardiano del faro e vittima dei suoi scatti di ira e delle sue continue violenze, presenza essenziale per introdurre una prospettiva unica sugli eventi ed evidenziare le differenze esistenti tra i due uomini con cui interagisce. Il compito affidatole, superato con bravura, era particolarmente complesso considerando che l'attrice non poteva parlare e doveva sfruttare solo le sue espressioni e i piccoli gesti per permettere agli spettatori di capire le motivazioni e le emozioni del personaggio.
L'ottimo lavoro compiuto dagli esperti truccatori e in post-produzione con gli effetti speciali (seppur fin troppo innaturali nelle scene degli attacchi al faro) contribuiscono in modo significativo a rendere Aneris una presenza affascinante, con la sua innocenza e la sua fedeltà.

A impreziosire il film sono inoltre le location meravigliose che creano un contesto quasi pittorico, con un protagonista rappresentato in modo romantico nel suo affrontare la natura, e l'incredibile fotografia di Daniel Aranyó che valorizza ogni sfumatura cromatica e gli importanti contrasti tra luci e ombre per dare sostanza agli spazi e a quello che si cela nel buio, interiore ed esteriore.

Cold Skin sente tuttavia un po' il peso della struttura letteraria, avendo scelto di seguire il racconto fuori campo in stile diario del protagonista, e la necessità di condensare alcuni eventi, rendendo così l'evoluzione dei personaggi discontinua nella rappresentazione dell'anno trascorso sull'isola. La colonna sonora composta da Víctor Reyes, si rifugia poi nel prevedibile per quanto riguarda il ritmo e le sonorità, anticipando i momenti paurosi e risultando eccessivamente retorica nell'accompagnare le scene più emozionanti.

Gens ha compiuto però un ottimo lavoro alla regia del progetto, creando sequenze ricche di significati metaforici - fin dal mestiere di "osservatore meteorologico" alle prese con eventi naturali e incredibili che riflettono la sua interiorità - che trasmettono con forza il messaggio ambientale e filosofico alla base del romanzo e trovando il giusto equilibrio tra questa necessità di far riflettere lo spettatore e la volontà di intrattenerlo grazie a delle sequenze d'azione in notturna particolarmente concitate e ben costruite per dare spazio a una tensione in crescendo.

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