Treme (quarta e ultima stagione): la recensione

La quarta stagione di Treme conclude splendidamente l'ultimo affresco televisivo di David Simon

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Morte, musica e vita. Queste sono le tre coordinate lungo le quali si è mossa l'ultima fatica di David Simon negli ultimi quattro anni. E non è detto che si tratti di tre strade parallele, né di tre fasi da affrontare in successione. La morte non è solo l'uragano Katrina e i suoi devastanti effetti su New Orleans, la musica non è solo la parata del Mardi Gras che ad ogni stagione ha scandito l'avanzamento della storia (al tempo stesso ribadendone la ciclicità), la vita non è solo la scossa di ribellione contro il fato dei tanti personaggi che abbiamo seguito in questi quattro anni. Si tratta invece di tre temi intrecciati, che si incrociano, che si sovrappongono, che si inseguono e si fondono insieme.

"Il mondo è tutto ciò che accade". E ogni cosa merita di essere raccontata, anche la più piccola, anche la più insignificante, forse perché più facilmente riusciremo a ritrovarci in quella più che in ogni altra grande vicenda. E questo non ha fatto che ribadircerlo David Simon, con The Corner, con The Wire, con l'ultima stagione di Treme. Sinceramente è assurdo analizzare queste ultime cinque puntate riassumendo i fatti, i personaggi, le svolte. Qualcuno morirà, qualcuno si innamorerà, qualcuno troverà la forza di andare avanti e di ricominciare, e intanto la musica continuerà a suonare.

Lo sguardo di Simon sulla realtà, sia essa quella della Baltimora degradata e avvelenata dal narcotraffico o quella di New Orleans travolta dall'uragano Katrina, si mantiene sempre vivo, realistico, ricco nelle storie, ricco nei personaggi narrati. C'è chi lo accusa di essere per pochi, di essere poco fruibile. In realtà forse è davvero l'opposto: c'è qualcosa di fortemente immediato, di viscerale nel lasciare che il mood di un'intera serie venga dettato, più che dalle svolte e dalle storie, dalla musica. Ci sarebbe sempre bisogno di una serie di David Simon in televisione per ricordarci le tante potenzialità del piccolo schermo. Complimenti alla HBO, che nonostante gli ascolti miseri ha continuato a credere nel progetto e nella sua qualità.

Non c'è inizio, non c'è fine, solo una breve parentesi di poche vite all'interno di quel corpo pulsante e quasi annegato che è la città di New Orleans, protagonista come e più delle persone che la abitano. Il luogo fisico e concreto che smette di essere contenitore indifferente e vuoto delle vicende che sono intrappolate al suo interno per viverle in prima persona, motivarle, dar loro un senso. La testa sott'acqua, la vita che continua a circolare al ritmo dei balli lungo le strade come il sangue pompato nelle vene. È in quel momento che dalla morte apparente la musica si alza per purificare, il momento catartico che torna a far rivivere i personaggi. Morte, musica e vita.

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