Tredici (ultima stagione): la recensione

La nostra recensione dell'ultima stagione della serie Tredici

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Spoiler Alert
Tredici, con la quarta e ultima stagione (qui il trailer), saluta definitivamente i suoi spettatori seguendo gli eventi ambientati durante l'ultimo anno del liceo e dando spazio alle conseguenze della scelta di incolpare Monty della morte di Bryce.
Se le decisioni prese dagli adolescenti in quell'occasione avevano suscitato non poche perplessità ed erano apparse sotto molti punti di vista discutibili per quanto riguarda il messaggio alla base della narrazione, gli ultimi dieci episodi confermano nuovamente che il progetto avrebbe potuto (e forse dovuto) concludersi dopo le prime tredici puntate tratte dal romanzo di Jay Asher.
La storia di Hannah Baker, interpretata con bravura da Katherine Langford, aveva infatti portato sul piccolo schermo un racconto duro, realistico e per molti versi necessario, in grado di parlare dei problemi dei teenager e rivolgersi a un pubblico anche adulto proponendo un'analisi drammatica del senso di solitudine e sofferenza che può portare i teenager a compiere la scelta terribile di togliersi la vita. La ricostruzione dei tredici motivi che avevano progressivamente distrutto l'equilibrio mentale di Hannah - una ragazza bella, intelligente, con una famiglia presente e affettuosa e senza problemi di dipendenze - ricordava come la depressione possa colpire anche i più giovani, invitando gli spettatori di tutte le età a trattare il prossimo con rispetto e sensibilità, non potendo sapere cosa si celi realmente dietro un'apparente tranquillità. Dare voce alla vittima di bullismo e violenza aveva rappresentato un approccio nuovo alla tematica e aveva lasciato il segno, nonostante qualche polemica piuttosto ingiustificata legata alla rappresentazione del gesto estremo compiuto dalla protagonista.
L'intento positivo e costruttivo della prima stagione è però stato fatto progressivamente a pezzi a partire dalla seconda stagione, con cui si è voluto "giustificare" ognuno dei colpevoli delle ferite interiori subite da Hannah, e con la terza che si era persino spinta fino a mostrare un'umanizzazione di uno stupratore seriale e il "sacrificio" di un cattivo di turno pur di salvare il futuro di Clay, in principio centro morale del gruppo di teenager, e dei suoi amici.
La stagione finale prosegue il racconto per provare a esplorare le conseguenze delle bugie raccontate alla polizia pur di nascondere il vero colpevole della morte di Bryce, rendendo il personaggio affidato a Dylan Minnette ancora più complicato e alle prese con una situazione mentale davvero fragile e problematica.
La sceneggiatura appare così costruita più sui messaggi che si vorrebbero inviare ai teenager (non drogatevi, fate sesso protetto, siate disponibili ad ascoltare i vostri amici, abbiate il coraggio di fare coming out, confrontatevi con i genitori, ribellatevi all'autorità ma ricordatevi che anche i poliziotti sono esseri umani, e, in modo abbastanza prevedibile e retorico, date spazio all'amore più che all'odio) che su una storia coerente. Le dieci puntate devono inoltre completare il percorso "di redenzione" dei personaggi principali. Spazio quindi a Jessica (Alisha Boe) sempre più in veste di leader femminista e attenta alle rivendicazioni sociali, Justin (Brandon Flynn) che deve fare i conti con le conseguenze della sua dipendenza, Alex (Miles Heizer) mentre si confronta con le proprie fragilità, Zach (Ross Butler) che cerca di trovare il proprio spazio nel mondo dopo la morte di Bryce e Monty, Tyler (Devin Druid) che prova a rendersi utile con la polizia, Ani (Grace Saif) che tenta di capire come procedere i suoi studi, e Tony (Christian Navarro) che dà spazio al suo talento sul ring per gettare le basi per il prossimo capitolo della sua vita.
Nelle puntate entrano inoltre in scena alcuni volti nuovi: Diego Torres (Jan Luis Castellanos), leader del team di football e alla ricerca della verità sulla morte di Bryce, il Dottor Robert Ellman (Gary Sinise) che si occupa di Clay, Estela (Inde Navarrette), sorella del ragazzo ucciso in prigione, Valerie Diaz (Yadira Guevara-Prip) che è la figlia del capo della polizia, meentre Charlie St. George (Tyler Barnhardt) diventa una presenza maggiormente centrale avvicinandosi in maniera significativa ad Alex.

A narrare gli eventi e a rimanere assolutamente centrale è però Clay i cui comportamenti diventano sempre più irrazionali, imprevedibili e animati da dilemmi interiori che gli fanno quasi totalmente perdere il controllo. Il ricordo di Hannah è presente, ma il giovane ha ora problemi ancora più urgenti e pressanti, considerando che la vita degli studenti della Liberty High riassume ogni possibile trauma e tragedia che si potrebbe vivere durante la propria adolescenza e non solo.
Il lavoro compiuto dal team di autori e registi è particolarmente frammentato e anche in questa stagione non mancano i momenti in grado di alimentare potenziali polemiche e dividere l'opinione degli spettatori. Nelle dieci puntate si passa infatti dagli attacchi in pieno stile bulli a un campeggio al limite della follia, senza dimenticare party ad alto tasso alcolico, un'esercitazione da incubo (anche per gli spettatori considerando le "visioni" dei protagonisti), una rivolta contro la polizia che appare purtroppo ancora meno appropriata considerando l'uscita su Netflix in corrispondenza con le proteste contro la brutalità delle forze dell'ordine in corso in tutto il mondo, un tentativo di risollevarsi il morale tramite il ballo scolastico, adulti che spiano e controllo sfruttando la tecnologia, e una malattia totalmente gratuita e ingiustificata ideata solo per proporre un drammatico epilogo che non viene sviluppato in modo appropriato e nemmeno razionale.
Tredici è purtroppo diventato l'esempio più chiaro del motivo per cui gli adattamenti di opere letterarie non dovrebbero mai proseguire oltre il racconto proposto tra le pagine in assenza di idee concrete e in grado di sostenere il peso di un'intera stagione.
Le dieci puntate con cui la serie dice addio ai fan rappresentano invece un mix di misteri, a tratti persino in stile Pretty Little Liars, elementi tipici dei teen drama tradizionali e tentativi di approfondimento psicologico. Il risultato, purtroppo, è caratterizzato da una qualità discontinua per quanto riguarda le interpretazioni e la qualità della scrittura e della regia. I personaggi principali appaiono così incapaci di suscitare l'empatia di chi assiste ai loro problemi a causa di comportamenti sopra le righe, irrazionali e, considerando il contesto genarale, in più momenti in contrasto con quanto proposto inizialmente dal progetto.
L'impossibilità di offrire una chiave di lettura precisa e condivisibile dei problemi, estremizzati fino a diventare surreali, affrontati dai teenager rende la visione di Tredici un'esperienza che sfocia quasi nella frustrazione nel pensare all'occasione perduta dal team di autori e produttori che hanno deciso di cavalcare l'onda del successo della storia di Hannah Baker senza aver deciso in che direzione muoversi. Concluso il racconto racchiuso nelle tredici audiocassette sarebbe forse stata un'idea migliore tentare la strada della serie antologica e cambiare ambientazione e protagonisti, invece che arrivare al punto in cui la memoria di un'amica che si è tolta la vita diventa quasi un ostacolo da lasciarsi alle spalle una volta terminato il liceo, seppellendone il ricordo invece che averne tratto dei reali insegnamenti, mentre i fantasmi del passato fanno costantemente capolino nella vita quotidiana con effetti a tratti involontariamente esilaranti.

Il finale riuscirà forse a commuovere più di uno spettatore e il presunto happy ending per molti dei protagonisti ha perlomeno la capacità di scrivere finalmente la parola fine su molti archi narrativi, tuttavia non bastano alcuni monologhi convincenti, interpretati con la consueta intensità e bravura da Dylan Minnette, o alcune sequenze catartiche a sostenere una serie che non ha mai ritrovato la forza e la drammaticità trasmessa dalla voce di Hannah mentre ripercorre la storia dei suoi ultimi anni di vita.

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