Tre piani, la recensione | Cannes 74

Per la prima volta un film di Nanni Moretti adatta un romanzo e tutto quel che fa vivere il suo cinema diventa un problema

Critico e giornalista cinematografico


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Tre piani, la recensione | Cannes74

Questa volta sembra che Nanni Moretti abbia rubato un copione a Michael Haneke.
In realtà c’è un romanzo omonimo israeliano, di Eshkol Nevo, alla base di tutto (la prima volta per Moretti), una serie di storie blandamente intrecciate che avvengono contemporaneamente nel medesimo condominio, storie di odio e paura, che diventano gradualmente di violenza e maltrattamenti. Come nel cinema di Michael Haneke è un incidente iniziale a scatenare tutto, un fatto che rompe una serie di equilibri e sposta anche solo di poco le vite molto tranquille e medio borghesi dei personaggi, risvegliando timori (per l’appunto) borghesi in ognuno di loro. Timori relativi alla sicurezza, timori di dover rinunciare ad una vita agiata e finire in galera, timore di essere impazzita e timore dell’invasione nella propria vita di un parente odiato. E proprio come nei film di Haneke la risposta a quei timori è molto spesso la violenza fisica o psicologica.

Ovviamente in Tre piani c’è anche di più, ci sono diverse ossessioni che Moretti coltiva e coccola da anni, come quella per la scomparsa di una persona cara e il relativo lavoro solitario e casalingo sul dolore, come la ricerca di scampoli di felicità (nel ballo) o ancora la disumanità di certi rapporti. Tutte queste idee che si agitano nelle storie di Tre piani sono mostrate e raccontate con scelte di recitazione che non pagano mai.
Se al naturalismo della messa in scena dei suoi film siamo abituati come anche al montaggio abbastanza brutale tra un troncone di storia e l’altro, questa volta la maniera in cui dirige gli attori affossa tutto.

Il cast del film è ampio e composto da ottimi attori e attrici, eppure la scelta del film è di farli procedere tutti verso una recitazione estremamente distaccata, raffreddata e il più possibile distante. Non è una novità per il cinema di Nanni Moretti (anche se negli ultimi anni questa caratteristica si era molto attenuata), alcuni dei suoi film migliori come La messa è finita, ma anche Bianca, hanno questo tipo di distacco. Solo che in quei film era molto funzionale al racconto di interiorità particolarissime e una deformazione del mondo che era personalissima e accattivante. Qui invece i personaggi sono molto comuni alle prese con eventi più o meno comuni e soprattutto (cosa rara in Moretti) con emozioni comuni. La scelta di raggelarli proietta continuamente lo spettatore fuori dal film invece che dargli un indizio in più per leggere gli eventi.

Perché non è che Tre piani non voglia il coinvolgimento sentimentale (come invece di solito pretende Haneke, per tornare al paragone iniziale), ma in questa storia di odio e violenza umana lo cerca nella maniera peggiore e, cosa forse ancora peggiore, senza riuscire a trovare una chiave visiva a questa storia. Dialoghi e recitazione sono tutto quel che c’è e alla fine è pochissimo.

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