I tre moschettieri: D'Artagnan, la recensione

La grande sorpresa in I tre moschettieri: D'Artagnan è quanto il film non punti sul senso di amicizia e scelga di concentrarsi su altro

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del film francese I tre moschettieri: D'Artagnan, in sala dal 6 aprile

Per paradossale che possa sembrare l’operazione I tre moschettieri: D’Artagnan, a cui già è noto che seguirà I tre moschettieri: Milady, parte da presupposti produttivi non troppo diversi da quelli di Moschettieri del re, il film italiano di qualche anno fa (anch’esso con un sequel) di Giovanni Veronesi. Sia quello francese che quello italiano sono tratti dal romanzo di Alexandre Dumas, sono interpretati da alcuni dei più noti attori del proprio paese e sono affidati ad un team di sceneggiatori e ad un regista che vengono dalla commedia. Ad essere radicalmente diversi semmai sono l’esito e la scrittura. Moschettieri del re era una parodia (di fatto), I tre moschettieri: D’Artagnan un adattamento molto fedele, anche grazie alla divisione in due parti. 

Martin Bourboulon viene da Mamma o papà, due commedie una delle quali in italia abbiamo rifatto con Antonio Albanese e Paola Cortellesi, ma poi è passato per Eiffel, ponderosissimo dramma sulla costruzione della torre, tutto color correction seppia e effetti visivi non proprio impeccabili, un polpettone sull’identità nazionale non da poco. I tre moschettieri: D'Artagnan è più sul secondo sentiero che sul primo, anche se è adattato da due sceneggiatori che avevano collaborato a Mamma o papà e prima ancora avevano scritto un’altra commedia adattata in Italia (e altrove): Il nome del figlio.

La scelta è di cercare l’azione e marginalizzare di molto la componente romantica (almeno in questo primo film, si vedrà nel secondo la cui storia potrebbe prestare più il fianco alle schermaglie sentimentali). Le vicende scritte da Dumas sono riassunte puntando tutto sulle grandi corse, i duelli e i confronti a brutto muso con il re e con i nemici. Materia molto grossolana diretta non in modi impeccabili ma scritta con così tanta fluidità da sopportare anche questa regia sempre innamorata della color correction scura e desaturata.

Negli anni ‘90 la Disney aveva adattato I tre moschettieri in un film sbrigativo e di grande impatto, tutto sole e grandi scene. Questo invece è un film tutto nuvole e interni bui, inverno e boschi spogli, notti illuminate da torce e grandi ambasce. Di certo è un adattamento più fedele e per questo anche più accattivante nella costruzione dei caratteri ma se una cosa la dice riguardo questi anni cinematografici, è che la ricerca degli antieroi, anche dove non ci sono, di atmosfere cupe e combattute, di ambiguità attraverso gli scuri della fotografia, è così forte da essere applicata anche ad una storia storicamente manichea, da giustificare una scelta così impervia, che distrugge il senso di amicizia e comunanza che è alla base di tutto nel romanzo, anche in un film ambizioso, da ben 36 milioni di euro.

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