I tre moschettieri: D'Artagnan, la recensione
La grande sorpresa in I tre moschettieri: D'Artagnan è quanto il film non punti sul senso di amicizia e scelga di concentrarsi su altro
La recensione del film francese I tre moschettieri: D'Artagnan, in sala dal 6 aprile
Martin Bourboulon viene da Mamma o papà, due commedie una delle quali in italia abbiamo rifatto con Antonio Albanese e Paola Cortellesi, ma poi è passato per Eiffel, ponderosissimo dramma sulla costruzione della torre, tutto color correction seppia e effetti visivi non proprio impeccabili, un polpettone sull’identità nazionale non da poco. I tre moschettieri: D'Artagnan è più sul secondo sentiero che sul primo, anche se è adattato da due sceneggiatori che avevano collaborato a Mamma o papà e prima ancora avevano scritto un’altra commedia adattata in Italia (e altrove): Il nome del figlio.
Negli anni ‘90 la Disney aveva adattato I tre moschettieri in un film sbrigativo e di grande impatto, tutto sole e grandi scene. Questo invece è un film tutto nuvole e interni bui, inverno e boschi spogli, notti illuminate da torce e grandi ambasce. Di certo è un adattamento più fedele e per questo anche più accattivante nella costruzione dei caratteri ma se una cosa la dice riguardo questi anni cinematografici, è che la ricerca degli antieroi, anche dove non ci sono, di atmosfere cupe e combattute, di ambiguità attraverso gli scuri della fotografia, è così forte da essere applicata anche ad una storia storicamente manichea, da giustificare una scelta così impervia, che distrugge il senso di amicizia e comunanza che è alla base di tutto nel romanzo, anche in un film ambizioso, da ben 36 milioni di euro.