Trash, la recensione | Roma 15
Animato con grande perizia e una serie di idee molto interessanti, Trash (film d'animazione italiano) crolla sulla sceneggiatura
Insomma Trash, tecnicamente, c’è.
La scrittura è però un altro paio di maniche, a partire dalla piaga sconfortante dei messaggi educativi lanciati chiari e forti, la stessa che fustiga la maggior parte dei prodotti per l’infanzia italiani. Lo scopo didattico è sempre esplicito nella forma di una lezione e mai implicito nella forma. Ma non solo.Creato ricalcando il modello aureo fondato dalla Pixar con Toy Story, cioè quello del mondo segreto degli oggetti che si animano, un universo complementare e speculare al nostro in cui le cose prendono vita mentre non le vediamo e hanno loro avventure, loro obiettivi e loro forme di realizzazione personale, Trash non riesce a creare quelle aderenze con il nostro mondo che fanno ridere, né trova l’empatia giusta.
In particolare, in un mondo così popolato, la caratterizzazione dei comprimari lascia molto a desiderare, ed è un peccato perché in questo tipo di film d’animazione è proprio l’accoppiata tra character design e carattere il punto di forza. Per dirlo in un’altra maniera, è la personalità che viene data ad un certo oggetto a partire dalle sue fattezze (in armonia o in contrasto) a vincere. In Trash questo è abbastanza pedissequo, si veda il barattolo con la sindrome di Napoleone o la donna inevitabilmente fatale modellata come una cantante di night sensuale.E quando sembra di aver segnato tutti i punti della lista delle banalità arriva un santone/mentore che spiega tutto. Ma tutto tutto. Obiettivi, backstory, sentimenti nascosti di ogni personaggio, aggiungendo una patina spiritualista all’idea di riciclo.
Ovviamente essendo un film italiano i villain hanno tutti un qualcosa di tecnico o tecnologico mentre i buoni sono rifiuti “vecchio stampo” fatti di materiali analogici. Il male è sempre nella tecnologia, il bene sempre nel vecchio mondo.