Trap, la recensione

Uno dei film più decisi di Shyamalan, Trap fa di più che mettere il pubblico nei panni del killer, cerca di fargli fare i suoi ragionamenti

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Trap il nuovo film di M. Night Shyamalan con Josh Hartnett in uscita nelle sale il 7 agosto

Questa volta il colpo di scena tipico di Shyamalan arriva subito, fin dal trailer, fin dal titolo! Un uomo accompagna la figlia al concerto di una cantante e nota una massiccia presenza di polizia. Facendo qualche domanda, scopre che sono tutti lì perché sanno che nello stadio è presente un pericoloso serial killer. E noi scopriamo che quel serial killer è lui. Questo avviene nei primi 10 minuti del film e, più che un colpo di scena, è la premessa da cui si sviluppa la storia (alla fine ci sarà comunque un altro colpo di scena, più piccolo, giusto per non perdere l’abitudine), perché per Shyamalan la sorpresa è sempre una questione di punto di vista. Cambiare il punto di vista cambia il modo in cui osserviamo le cose e, di conseguenza, ciò che sappiamo. Stavolta seguiamo lui, il ricercato, intrappolato mentre cerca di sfuggire alla cattura. E in questo film, forse più che in qualsiasi altro di Shyamalan, lo sguardo è fondamentale.

Questa è la trama perfetta per lui, perché gli consente, almeno per la prima metà del film, di giocare solo con lo sguardo. Il protagonista non può parlare con nessuno di ciò che sta accadendo; si limita a osservare, notare, pianificare, informarsi e pensare a come fuggire, e noi guardiamo e notiamo le cose che nota lui. Non c’è mai una soggettiva, ma è chiaro che il nostro sguardo è il suo, e attraverso questa identificazione entriamo nella sua mente a un livello di profondità che testimonia l’incredibile maestria di Shyamalan. Non solo comprendiamo i suoi processi mentali senza che ci vengano esplicitamente spiegati ("potrei scappare da quel buco", "stanno fermando persone che somigliano a me, sanno come sono fatto"...), ma comprendiamo anche qualcosa di molto più profondo: essere un killer è un peso per questo protagonista. In un momento eccezionale, Shyamalan inquadra un taglierino che viene passato di mano e, semplicemente mostrandocelo attraverso lo sguardo del killer, ci fa comprendere tantissimo riguardo all’istinto di morte, alla disperazione e all’ossessione.

Trap non è certo il primo film che lavora sul tema dello stadio, della folla e di un protagonista con un obiettivo (tra i migliori esempi del genere ci sono A rischio della vita e Omicidio in diretta), ma è senza dubbio quello che compie il lavoro più radicale nel farci indossare i panni del protagonista, almeno per tutta la prima parte. Poi la narrazione si sposta fuori dallo stadio, i personaggi in gioco cambiano e se ne aggiungono di nuovi (c’è una profiler anziana e combattiva che ricorda il cinema americano degli anni '70). La seconda parte è meno affilata della prima, meno sorprendente, più allungata e in certi punti non proprio impeccabile, ma svolge un lavoro molto delicato di cambio del punto di vista. Quello che solitamente Shyamalan ama fare di colpo, qui avviene con calma: passiamo dal protagonista a qualcun altro, che diventa il nuovo punto di riferimento, e poi ancora a un altro personaggio nel finale.

In questo film, che è tutto un gioco di sguardi (il protagonista stesso spiega che il suo movente per uccidere è l’essere guardato in un certo modo dalle vittime), Shyamalan trasforma l’archetipo del thriller psicologico, quello che da Psyco in poi ha caratterizzato il genere. Anche qui, infatti, troviamo un’analisi un po’ troppo specifica e morbosa della mentalità del killer e delle sue deviazioni, ma invece di farci osservare tutto con disgusto (come avviene ad esempio in Il silenzio degli innocenti), ci immedesima nei suoi processi mentali, nei suoi desideri, nei suoi contrasti. Gran parte del film è finalizzata a rendere il rapporto bellissimo che il protagonista ha con la figlia, senza mai dichiarare esplicitamente (ma è implicito) che, se catturato, la perderebbe per sempre. Questa non è solo la posta in gioco e il rischio, ma sono componenti che influenzano il modo in cui il protagonista guarda il mondo e che quindi noi comprendiamo attraverso il suo sguardo.

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