Transformers - L'Ultimo Cavaliere, la recensione

Capace di aumentare in proporzioni sempre di più per due ore e mezza, Transformers - L'Ultimo Cavaliere non è l'apice della serie ma lascia di stucco

Critico e giornalista cinematografico


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In quello che ormai è diventato il futuro del primo Terminator, i Transformers vivono mescolati agli umani e più che altro contrapposti ad essi in una guerra che, come i conflitti moderni, è urbana, mondiale, ubiqua e in cui la cosa più difficile è comprendere le fazioni in gioco. Lo è spesso per lo spettatore ma alle volte anche per i personaggi.

Per chi non ricordasse dove eravamo rimasti non c’è alcun riassunto. Il rapporto tra i governi del mondo e gli Autobot è visibilmente peggiorato, per gli uomini sembra non esserci più differenza tra loro e la controparte cattiva, i Decepticon; Optimus Prime è in viaggio verso il pianeta d’origine dei Transformers; sulla Terra è rimasto solo Mark Wahlberg, privo di famiglia (dunque pronto a crearne una nuova in quest’avventura), a fare la guardia e a proteggere e nascondere gli altri Autobot. Ormai sono tutti contro tutti.

Quel che accadrà nel film è lungo, complicato e in fondo superfluo da raccontare (centra il mondo di origine dei Transformers e una sua possibile rinascita a spese della Terra), perché Transformers - L'Ultimo Cavaliere in realtà è la sublimazione del desiderio di onnipotenza che si cela in ogni film di Michael Bay. È un lungometraggio che fa palesemente fatica a contenere se stesso e che cresce in ambizioni, dimensioni e senso dell’apocalittico costantemente per tutte le sue due ore e mezza di durata, arrivando alla fine a livelli di Bayhem (il cataclismatico rapporto di Michael Bay con l’azione, la distruzione e la rappresentazione del caos del movimento) mai così giganti. Almeno fino al prossimo film (che senza remore è annunciato nel finale e che non verrà diretto da Bay).

La scala su cui si rapporta questo regista ha proporzioni sempre più immense. Questo quinto capitolo della serie Transformers è un film che cambia almeno 2-3 volte nel corso della sua durata, slegato completamente dalle regole auree dei 3 atti ma che contiene materiale per due sequel. Basti dire che la trama degli umani (stavolta anche più centrali che in precedenza) parte verso metà. Incredibilmente nonostante tutto ciò, arrivato al quinto capitolo, Bay sembra voler rimettere i rapporti umani e le relazioni al centro di tutto, con il solo risultato di impoverire e appesantire il film. Quella forza cinetica, fatta di azione, movimento e controllo pazzesco che dimostra di avere quando il montaggio si fa rapido e gli eventi serrati, è sempre stato il motore che manda avanti i film di questa serie, e Transformers - L'Ultimo Cavaliere, almeno fino a che non arriva a quello zenith di furiosissima messa in scena che il grande finale, è privo della trazione e dello spettacolo futurista dimostrate in precedenza.

Non è quindi soddisfacente né galvanizzante come quelle fusioni di arte concettuale e pop culture spinta verso la distruzione che erano i due capitoli precedenti, ma è comunque una costruzione che lascia di stucco per potenza muscolare e ambizione.
Così grande da comprendere almeno 4 fazioni diverse (due di uomini, due di Transformers e forse anche una quinta), da avere una quindicina di personaggi principali e 4 protagonisti (a stare stretti), Transformers - L'Ultimo Cavaliere conferma tutti i tratti più noti del mondo in cui sono ambientati i film di Michael Bay, dalla passione per le “modelle iperistruite” al feticismo per ogni tipo di mezzo (come nel più recente Fast & Furious anche qui arriva un sottomarino, tra i molti), contemporaneamente allargando quello che intendiamo con la definizione “film” fino a comprendere questo titano.

Tanto che per le sue ambizioni narrative 150 minuti sono pure pochi. Il film si dimostra infatti capace di arrivare a conseguenze estreme con la rapidità (e la conseguente confusione) di molti anime giapponesi ma è anche denso come quelli che tra questi adattano e restringono manga molto più lunghi con una sintesi eccessiva e poco chiara. Tuttavia per quanto sia un’opera narrativamente confusissima, rimane visivamente limpido. Tutto quello che questo film comprensibile anche senza dialoghi ha di interessante da dire e di attraente da proporre, sta infatti nella maniera personalissima in cui agita il minuscolo e il gigante, in cui fonde quella che di fatto è animazione (più di tre quarti film è creato in digitale) con la concretezza della guerra personale del suo autore, quella che combatte contro se stesso per un cinema che sia sempre più immenso, grandioso, spettacolare e incredibile. Sempre di più.

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