Transformers: Il risveglio, la recensione
Anche Transformers: Il risveglio come già Bumblebee dimostra che il dopo Michael Bay è molto più difficile di quel che si potesse credere
La recensione di Transformers: Il risveglio, il primo film del nuovo corso della saga dopo Bumblebee, in sala dal 7 giugno
È impossibile seguire l’eredità di Michael Bay, lo si era visto già in Bumblebee e questo film lo conferma. Non solo in cinque film ha identificato profondamente la versione filmica di Transformers al suo stile, ma il suo stile è impossibile anche solo da ricalcare per chiunque non sia lui. I film della serie Transformers devono trovare una nuova identità ma sono lontanissimi dall’esserci riusciti. Sia Travis Knight con Bumblebee che Steven Caple Jr. con questo Il risveglio, girano film generici, rispettano tutte le buone regole del cinema americano, montano, fotografano e dirigono gli attori in maniera corretta e giusta ma consegnano in sala opere senza una personalità, senza stile, senza caratteristiche salienti. Come la chiave a transcurvatura: oggetti che giustificano altre scene.
A tutti gli effetti sembra di essere davanti a un film concepito in uno studio di produzione da un team di produttori o forse da Lorenzo di Bonaventura in persona, l’uomo che ha sempre curato tutti i film della saga e che continua ad esserne la mente. Transformers: Il risveglio è un lista di elementi che devono essere presenti nel film, non un film in sé. Anche la caratterizzazione dei nuovi personaggi umani lascia tantissimo a desiderare, con Anthony Ramos che porta un forte radicamento a Brooklyn, quindi un’identità popolare in linea con la storia degli umani della saga, che però poi stona se così ostentata. Soprattutto quando in mezzo a questioni intergalattiche di proporzioni immense (quasi ad imitare le esagerazioni Marvel) parla di Brooklyn (!).