Transformers 4: l'Era dell'Estinzione, la recensione [2]

A seguire vi proponiamo la recensione a cura di Francesco Alò di Transformers 4: l'Era dell'Estinzione, da domani al cinema...

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Leggi la recensione di Andrea Francesco Berni | Guarda la videorecensione

“Dio ha creato l’uomo e quindi anche i Transformers!” si diceva in Clerks II (2006). L'anno dopo li avremmo visti al cinema.

Ancora una volta Kevin Smith si dimostra anticipatore di fenomeni pop come quando profetizzò con cinque anni di anticipo il prossimo dominio del cinefumetto con Generazione X (1995), dove i suoi personaggi già parlavano di supereroi per un'ora e mezza di film con Stan Lee nel ruolo di un mentore ben più significativo rispetto ai suoi futuri cameo per i cinefumetti Marvel.

Ci sarà un motivo per cui il Comic-Con riserva a Kevin Smith un incontro con il pubblico ad ogni edizione.
Forse non sarà più il regista esplosivo di Clerks (1994) e In cerca di Amy (1997), ma comunque vale la pena prestare orecchio a ciò che ha da dirci. Magari potrebbe prevedere trama e cast del quinto Transformers.

E il quarto? Per cosa si distingue il quarto capitolo di una saga che non si estingue nonostante il titolo? Vale la pena prestare occhi ed orecchi al nuovo episodio delle avventure di Optimus Prime & Co.?

Certo che sì!

Arrivati a 165 minuti di durata i robot giganti che si trasformano in qualsiasi cosa sono nelle mani di Michael Bay un gigantesco intrattenimento da prendere terribilmente non sul serio.

D'altronde l'ironia è sempre stata la carta vincente della saga iniziata nel 2007 con il Sam Witwicky di Shia LaBeouf pronto ad aiutare gli Autobot di Optimus Prime contrastando con goffa sicurezza i Decepticon guidati da Megatron. Lui era l'eroe, ma non lo sembrava molto.

Attorno a un freschissimo Shia nasceva una star donna sempre più aggressiva e alla Russ Meyer (Megan Fox) e al suo fianco si imponeva quel John Turturro perfetto come caratterista comico nei panni dell’ex capo del segretissimo Settore 7, diventato pirata informatico e travestito da macellaio nel secondo episodio con omaggio a Fa' la cosa giusta di Spike Lee.

Qui oltre che ad ammirare la precisione con cui Bay realizza il suo solito carnaio lucente di muscoli e cerchioni, troviamo in leadership un super Mark Wahlberg proveniente dall'ultimo fantastico, e tremendamente sottovalutato, film di Bay Pain & Gain – Muscoli e denaro.

Si vede che i due si sono divertiti e si stimano perché Wahlberg è tutto cuore e credibilità nei panni di uno scienziato vedovo sfigato del Texas che deve far tornare la speranza nel cuore dei Transformers. Il tema c'è ed è notevole: per riunire degli Autobot che sembrano non credere più in niente (ci sono sgradevoli umori da Quella sporca dozzina in questi robot guerrieri pericolosamente vicini all'Egoismo e al Male se lasciati senza la leadership di Optimus Prime) ci vuole un piccolo grande texano che mostri di avere una morale integerrima e tanta lealtà autolesionista.

Il film è una storia d'amore tra questo nerboruto inventore e il capo degli Autobot costantemente tentato di mandarci filosoficamente a quel paese perché sulla Terra sembrano tutti remare contro il bene comune e la razionalità.

Wahlberg è la scelta perfetta perché sa fare benissimo lo sfigato, isolato e perdente con gli occhi da pazzo invasato che ti dicono: “Comunque ho ragione io”.

Sì è vero: la trama è all'inizio parecchio incasinata (ma perché? Voi avete capito qualcosa dei primi 25 minuti di Godzilla?) ma poi scorre che è una meraviglia con la Disillusione come villain principale e dei dettaglioni di mani aliene come il vero obiettivo del capitolo cinque.

Sì è vero: Nicola Peltz non è Megan Fox e nemmeno Megan Fox ce l'avrebbe probabilmente fatta a rendere speziato un personaggio così moscio come la figlia passiva dell'inventore texano. Tutta l'America è una questione tra maschietti (sia che il rapporto sia con il nuovo fidanzato di tua figlia che con dei soldati che hanno dimenticato come si possa servire la propria patria anche senza onori appariscenti) mentre il femmineo potente è un'Asia, una Cina, che può partire come filiale di una corporation di un genio yankee ma può anche finire come colei che guida la moto e picchia come un ossesso.

E la donna domina anche i ghiacci dell'Antartide dove capisce prima di altri che qualcosa non va in alcune strane conformazioni geologiche. Maschilismo? Siamo 2 donne in gambissima vs 1 moscia.

Ci piace tanta roba di Transformers 4: la paccottiglia da fantascienza anni '50 (occhio a quanto è grosso e metallizzato il Seme), i militari cattivi, le armi buffe (Wahlberg trova un mitra alieno e urla: “Questo sì che lo brevetto, cavolo!”), Stanley Tucci scienziato isterico con anima e nome fichissimo (Joshua Joyce) e il mitico Thomas Lennon (l'uomo che rimorchiava bellissime donne severe parlando in elfico in 17 again) nei panni di un portavoce di Obama aggressivo come Ned Flanders.

Michael Bay propone un popcorn cinema muscoloso, autoironico, umano, casinaro e per niente cervellotico.
Ci piace assai.

Vogliamo così anche il quinto.

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