Transformers 4: l'Era dell'Estinzione, la recensione

Con Transformers 4: l'Era dell'Estinzione Michael Bay ripete la formula che ha fatto adorare la saga ai suoi fan e detestarla ai suoi detrattori...

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Leggi la recensione di Francesco Alò

C’è chi sostiene che i film di Michael Bay siano la morte del cinema, definizione della quale il regista di Los Angeles in genere ride guardando le montagne di milioni di dollari generate dalle proprie pellicole. Il franchise di Transformers, in particolare, ha contribuito a creare una forte divisione tra chi detesta Bay e chi invece si gode i suoi film (difficile però inscrivere questa attività nella categoria del guilty pleasure, vista l’ambizione infusa dal regista stesso nei suoi prodotti).

Giunti al quarto capitolo della saga non si può non entrare in sala con la consapevolezza di ciò che si andrà a vedere: il cosiddetto Bayhem, un vero e proprio cocktail di esplosioni, effetti visivi e fotografia molto satura e ben curata. Il tutto, questa volta, per una durata ben ben 165 minuti e con l’aggiunta di parecchio minutaggio girato con le nuove cineprese in Digital IMAX 3D (almeno per chi si trova nei pressi di una sala appartenente al prestigioso circuito).

Quello che pesa, ancora una volta, è il totale disinteresse per la funzione narrativa della sceneggiatura. Lo script, in Transformers 4: l'Era dell'Estinzione, è completamente asservito ad altro che non sia la narrazione: dai cambi di location, al product placement (aspettatevi un tripudio di pubblicità, ironicamente sono le uniche a non venire distrutte durante il Bayhem), al merchandising (gli impressionanti Dinobot hanno ben poco screentime, quasi fossero stati inseriti unicamente per poter vendere le action figure), alla necessità di lanciare una nuova trilogia.

I nuovi protagonisti, interpretati da Mark Wahlberg, Nicola Peltz e Jack Reynor, passano totalmente in secondo piano sia nel loro arco evolutivo che nelle vicende vere e proprie. E ironicamente ecco che spiccano i personaggi secondari, non solo perché interpretati da ottimi attori (Kelsey Grammer, Fan Bingbing e un sempre straordinario Stanley Tucci) ma anche perché protagonisti di una trama parallela e cospirazionista più interessante di quella principale. E se la componente militare, solitamente molto presente nei film di Bay, è qui marginale, un altro ingrediente classico dei suoi film si fa ancor più evidente: il maschilismo con cui viene gestito il personaggio di Nicola Peltz non può passare inosservato (curioso che Bay ci tenga a evidenziare la “regola di Romeo e Giulietta” per legittimare la relazione tra una diciassettenne e un ragazzo più grande di lei, inquadrandole poi più volte svariate parti del corpo).

Ma, come si diceva, sono tutte cose che ci si può aspettare in un kolossal di Bay. Cosa c’è di diverso questa volta? Innanzitutto alcune ambientazioni: pur essendo ingiustificato, in termini narrativi, il trasferimento delle vicende a Hong Kong per quasi un terzo del film, le scene ambientate in Cina risultano essere tra le più riuscite anche in termini produttivi, in particolare uno spettacolare inseguimento giù per la facciata di un palazzo. Molto intrigante anche una sequenza all’interno di una astronave aliena (verrebbe quasi da evidenziare un ritorno dell’influenza del produttore esecutivo Steven Spielberg - assente dopo il primo episodio - se non fosse che Spielberg avrebbe affidato molta più azione al personaggio di Nicola Peltz, qui invece costretta a comportarsi come un’idiota). E di buono c’è anche che, forse proprio a causa delle riprese in 3D, questa volta più ancora che nel terzo film Bay ha moderato molto la sua tendenza al montaggio frenetico nelle scene d’azione, rendendo molto più sostenibili le spettacolari sequenze d’azione, meno caotiche e fracassone degli episodi precedenti. Anche il 3D ne giova, sì immersivo ma non in maniera eccessiva come accadeva in Transformers 3.

Quando uscì il primo episodio nessuno credeva che un film su dei robot parlanti avrebbe avuto successo. Da allora, dopo ogni capitolo della saga Bay ha promesso che non sarebbe tornato alla regia del successivo, cambiando tuttavia idea ogni volta. Ora, per il bene del franchise, sarebbe meglio se mantenesse la promessa. E non perché abbia fatto qualcosa di diverso - o di peggiore - rispetto agli episodi precedenti. Ma se con Transformers 4: l’Era dell’Estinzione l’obiettivo era quello di lanciare una nuova trilogia con una nuova storia e un nuovo cast, ora è importante dare un nuovo slancio all’intero progetto, affidandolo a un regista con un approccio fresco, diverso, originale. O ci ricorderemo di Transformers solo e unicamente per il Bayhem.

 
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