Transatlantic, la recensione

Omaggio a Lubitsch e Chaplin, Transatlantic macchia il suo sagace affresco storico con un eccesso di tinte rosa

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La nostra recensione di Transatlantic, miniserie creata da Anna Winger e Daniel Hendler disponibile su Netflix

L'accostamento tra affresco storico e commedia drammatica ha, sin dagli albori del cinema, sortito effetti memorabili; dal Vogliamo vivere! di Lubitsch al nostrano La grande guerra, passando per Il grande dittatore o il più recente Train de vie e innumerevoli altri fulgidi esempi. In questa scia, seppur con più frequenti virate verso un romanticismo da romanzo rosa, si inserisce Transatlantic; una miniserie la cui rilevanza prescinde persino dalla sua riuscita complessiva, data l'importanza della storia che tratta.

Anna Winger e Daniel Hendler, al timone creativo della serie distribuita su Netflix, incoronano con meritati allori gli eroi che contribuirono, durante la Seconda Guerra Mondiale, a far fuggire circa duemila perseguitati dal Nazismo verso il continente americano; tra di essi, personalità fondanti della cultura del Novecento come Hannah Arendt, André Breton, Marc Chagall, Max Ernst e Marcel Duchamp. Tre i principali salvatori su cui Transatlantic sceglie di focalizzarsi: l'ereditiera americana Mary Jayne Gold (Gillian Jacobs), il giornalista Varian Fry (Cory Michael Smith) e l'economista tedesco Albert Hirschman (Lucas Englander).

Incubo in paradiso

L'apertura di Transatlantic è, in un certo senso, emblematica di tutta la sua evoluzione: nell'incipit, osserviamo il grigiore di un filmato di cinegiornale lasciare gradualmente il posto alla vividezza dei colori della messinscena. Una mossa registica che mette in luce sin da subito l'intento della miniserie: raccontare la brutalità di un momento storico terribile, immerso però nei toni squillanti di una natura in tripudio. In accordo con le tinte sature della fotografia sono i protagonisti della storia: chi per un motivo, chi per un altro, i tre eroi al centro di Transatlantic troveranno, nel corso della stagione, modo di esprimere appieno un anelito di libertà troppo a lungo soffocato.

A dispetto dell'incubo nazista sempre più vicino (nel 1941, anno in cui si svolge la vicenda, i tedeschi hanno già preso Parigi), la Marsiglia di Transatlantic tracima voglia di vivere, crocevia di culture che la rendono un caleidoscopio decisamente inviso agli aspiranti dominatori d'Europa. Una donna emancipata e ribelle, un intellettuale con inclinazioni inconfessabili per l'epoca e un ebreo tedesco in fuga; attorno a questo nucleo vorticano, come tragicomici danzatori, gli artisti cui la serie rende omaggio attraverso i titoli dei suoi diversi episodi.

Un mondo d'amore

Nella cornice dorata di Villa Air-Bel, seguiamo Fry, Gold e Hirschman mentre, grazie alla collaborazione di diversi alleati, organizzano l'espatrio delle più luminose menti dell'Occidente; ciò non gli impedisce, tra una missione di spionaggio e l'altra (Gold inizia a collaborare con i servizi segreti britannici), di intessere relazioni interpersonali che aggiungono spessore alla loro rappresentazione emozionale sul piccolo schermo. Le amicizie che si creano scaldano il cuore; lo stesso non può dirsi di alcune love story dall'evoluzione piuttosto sciatta.

È proprio qui che casca il proverbiale asino: troppo spesso, infatti, Transatlantic indulge in toni da melò romantico, andando così a rosicchiare tempo prezioso a questo scintillante affresco corale di cui avremmo voluto sapere ancora di più. Se a ciò aggiungiamo il fatto che le storie d'amore di cui costella il proprio percorso non aggiungono, di per sé, nulla di narrativamente accattivante all'intreccio principale, l'unico risultato ottenuto da questi inserti è una generale banalizzazione della trama. Non vale, sia chiaro, per tutti: al personaggio di Fry viene riservato un trattamento di riguardo, utile a comprendere la complessità della sua figura e il dissidio del vivere in un tempo incapace di accettare la diversità.

Bellezza e guerra

Al di là delle scivolate di cui sopra, Transatlantic esce comunque vittoriosa da una sfida non facile: raccontare l'orrore della guerra in parallelo a una sincera celebrazione della vita, dell'arte e del libero pensiero. Un racconto necessario e illuminante, la cui validità trascende l'epoca in cui è ambientato e crea un richiamo immediato alle emergenze di oggi; i fuggitivi di ieri non sono diversi da quelli del nostro tempo, sembra volerci dire la miniserie Netflix. Villa Air-Bel è una bolla di vita in un mondo che rischia di divenire un cimitero.

Esteticamente, Transatlantic è un piacere per gli occhi. Lo splendore dei paesaggi dei Pirenei, la sfrenata fantasia dei costumi, le folli performance artistiche dei maestri ospitati nella Villa, contribuiscono tutti a esaltare la potenza salvifica della creatività in opposizione a un regime che vorrebbe soffocare ogni varietà di voce, ogni guizzo fuori dall'ordinario, ogni acuto fuori dal coro. E mentre osserviamo ammirati lo sforzo eroico compiuto dai coraggiosi che protessero queste persone non grate, tornano alla mente le parole di un immenso pensatore russo, vittima di una diversa (ma ugualmente atroce) persecuzione: "La bellezza salverà il mondo."

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