Trafficante di virus, la recensione | TFF 39

La nostra recensione di Trafficante di virus, film con Anna Foglietta presentato alla 39 esima edizione del Torino Film Festival

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Sottostimare i propri spettatori, rivolgersi a loro con atteggiamenti moralistici, è uno degli errori più grandi in cui può cadere un film, con la conseguenza che spesso il risultato finale è l’opposto di quanto prefissato. Come esempio, possiamo prendere Trafficante di virus: un racconto che porta alla luce problematiche attuali e urgenti con un intento didattico e una presa di posizione così sfacciati da risultare indigesto. Tratto liberamente dal libro di Ilaria Capua, narra la storia di Irene, una ricercatrice presso un importante istituto zooprofilattico italiano, dove lavora per affrontare epidemie dilaganti tra animali che potrebbero mettere in pericolo anche la salute degli esseri umani. Dopo aver vinto ancora una volta un bando e aver scoperto un nuovo vaccino contro l’influenza aviaria, decide di condividerlo con la comunità scientifica. Questo però la porta ad essere coinvolta in un’indagine che l’accusa di aver diffuso il virus tra gli esseri umani per poi trarre profitto dalla vendita dei vaccini.

La vicenda si colloca tra il 2001 e il 2016, ma tutto rimanda volutamente alla situazione pandemica attuale, dalle teorie complottiste sulle "Big Pharma" alle condizioni pessime in cui versano i laboratori, sintomo dello scarso interesse pubblico verso la ricerca e la salute. Il film si sofferma sull’etica del lavoro dei ricercatori e sulla sua importanza, cercando di porre la nostra attenzione su questo aspetto, non lesinando a ricorrere a proclami ad alta voce ("Finalmente si potrà vaccinare!", esclama la protagonista). Ripropone così una realtà che nell’ultimo anno e mezzo è all’ordine del giorno e che tutti conosciamo, ma senza aggiungere nulla di nuovo da quanto visto in notiziari e reportage. Anzi, con la presunzione di volerci rendere consapevoli e accorti un tema su cui non è certo più necessario farlo, con una foga che al contrario preclude il nostro coinvolgimento.

In questo quadro si innesta la storia della protagonista, dal volto perennemente incaponito di Anna Foglietta, una "donna di scienza" (come viene più volte sottolineato) che si ritrova a lottare indefessamente contro tutto il sistema, dominato dagli uomini. I suoi superiori commentano il suo aspetto fisico, il padre non capisce come possa non pensare ai soldi: una serie di figure che fungono da cassa di risonanza per il ritratto da eroina che emerge. Il film si schiera da subito dalla sua parte, in maniera tanto marcata da non lasciare spazio a uno spiraglio sulle possibili conseguenze della sua fede incrollabile, come trascurare la figlia o il compagno. Nella scena in cui quest’ultimo la lascia, sentendosi "non all’altezza" e accusandola di aver sempre messo al primo posto la carriera, l’accento è sempre posto sul dramma e sulle ragioni di lei, mai su quelle di lui. Allo stesso modo, gli unici ritratti maschili "positivi" sono quelli, come il marito e il suo collega più stretto, che le si sottomettono e la seguono sempre e comunque. Un messaggio piuttosto ambiguo, così palese da incrinare la ricezione stessa della figura della protagonista, che piuttosto che appassionare finisce per infastidire.

La sua battaglia e i suoi ideali sono ovviamente giusti e condivisibili. È il modo in cui il film presenta e porta avanti il suo discorso a stonare. A questo non giova uno sviluppo narrativamente prevedibile, nella sua alternanza tra passi avanti e battute d’arresto, momenti di euforia e di disillusione, e il ricorso a dinamiche di coppia da soap opera e parentesi riflessive a suon di stucchevole musica lirica e ralenti. Così, anche la patina da thriller giudiziario di cui vorrebbe ammantarsi rimane costantemente in secondo piano, schiacciata dal versante intimo e privato delle vicende.

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