Tracks, la recensione

Un desert movie che rifiuta i pessimi esempi del genere e prova con forza ad essere coerente nel più fastidioso dei principi. Ma alla fine, stranamente, ci riesce...

Critico e giornalista cinematografico


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La storia è vera, quella di una donna che alienatasi dalla società, insofferente per la vita che viveva, le persone che frequentava e più in generale per le convenzioni del vivere sociale come lo conosciamo, decide di attraversare a piedi il deserto. Un modo per andarsene da tutto e vivere in un'altra maniera che lentamente diventa un obiettivo e un imperativo morale. Tampinata da un fotografo del National Geographic che deve tollerare perchè sono loro a finanziare questo viaggio, avrà le consuete disavventure di una simile impresa in un film molto migliore di quel che poteva essere.

Il rischio di simili film è di dimenticare quel che dovrebbero essere e finire a trattare tematiche nettamente oltre le loro possibilità, invece Tracks sembra fare di tutto per riuscire a tenere terra terra questa storia di una persona che cerca di vivere in maniera diversa, senza sapere troppo bene nemmeno lei in che senso. Non c'è insomma lo snobismo del rifiuto di tutto della prima parte di Into the wild, nè una precisa condanna della società, solo l'inadeguatezza della protagonista e la fatica nel cercare di essere a proprio agio.

Certo non sfugge a nessuno l'assurdità di rischiare la vita in un'impresa improba per qualcosa di così vago, tuttavia è anche contagiosa la maniera in cui venga rifiutata qualsiasi conciliante mediazione di un pensiero così estremo. Per questo è difficile liquidare Tracks con poco (nonostante Mia Wasikowska non faccia molto per renderlo memorabile), perchè nonostante qualsiasi pregiudizio iniziale ha una maniera indubbiamente sensata di portare avanti questo viaggio nel deserto, puntando sulla fatica umana, sullo spaesamento ma non muovendo mai un passo dal rifiuto della società civile, che poi è il presupposto di partenza.

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