Tra due mondi, la recensione

Carrère rinnova il suo gioco romanzesco dei ruoli e delle identità riuscendo nel suo intento riflessivo solo in parte.

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La nostra recensione di Tra due mondi, al cinema dal 7 aprile

Libero adattamento del romanzo-inchiesta di Florence Aubenas su un gruppo di donne delle pulizie che lavora precariamente in un traghetto sulla Manica, Tra due mondi dello scrittore qui regista Emmanuel Carrère (alla sua terza incursione cinematografica)osserva con freddezza documentaria questa realtà sociale - usando attrici non professioniste, talvolta nei panni di sé stesse - con l’intento di parlare di qualcosa di invece molto più evanescente: la finzione e la responsabilità del raccontare. Un po’ nascosto nella protagonista Marianne (Juliette Binoche), scrittrice sotto copertura che si fa assumere sul traghetto per studiare il campo e cercare ispirazione per il suo nuovo libro sul precariato, Carrère rinnova il suo gioco romanzesco dei ruoli e delle identità riuscendo nel suo intento riflessivo solo in parte.

Tra due mondi pone da subito la distanza come suo leitmotiv, sia per quanto riguarda il conflitto della protagonista che il modo in cui Carrère lo racconta. Marianne vive infatti nella menzogna (che è seminata anche in un dialogo prima della “rivelazione” che però, purtroppo, non viene ripreso) ma dal momento in cui si lega profondamente alle persone che conosce in questa esplorazione, e in particolare alla collega Chrystèle (Hélène Lambert), frantuma sé stessa, la sua identità e i suoi sentimenti tra una viscerale volontà di apertura - che però non può mai avverarsi - e una negazione costante.

Questa vicinanza contraddittoria ci tiene sulle spine perché è destinata ad esplodere quando la verità, prima o poi, verrà a galla. Nel metterla in scena Carrère rimane un osservatore perlopiù freddo, analitico e apparentemente imparziale: il suo sguardo è infatti sempre allineato a quello di Marianne, di cui insegue la presenza (non c’è mai una scena dove lei non c’è), lasciando alla fredda e statuaria recitazione di Juliette Binoche il compito di raccontare la complessità di un personaggio che trattiene tutto.

La latente complessità del personaggio, che dovrebbe aprire alla riflessione identitaria, è però al tempo stesso il lato più problematico di Tra due mondi. Per quanto infatti la freddezza di Carrère comunichi con efficacia quel senso di isolamento e di sentimentalismo negato insito nella “doppia condizione” di Marianne (di scrittrice-osservatrice tra personaggi e di persona tra altre persone), questo strumento non si fa mai racconto perché non riesce a spiegarsi, lasciando indietro qualcosa di qui veramente cruciale come la spiegazione delle intenzioni - dei personaggi e insieme del film. Con che intenzioni ha cominciato questo lavoro Marianne? Come lo ha vissuto nel mentre? Lo possiamo supporre, lo possiamo pure indovinare, ma Carrère da parte sua non si azzarda mai a raccontarcelo, né con le immagini né attraverso la bocca degli interpreti.

In un film come questo dove i personaggi si costruiscono (ingannandosi o meno, deludendosi a vicenda o meno) a partire dalla relazione con gli altri e che da questa precisa situazione vuole tirare fuori la sua vera intenzione narrativa, l’incertezza generale che aleggia non potrà che mostrarsi nella sua problematicità al momento delle conclusioni. Per quanto infatti affascinante nella sua durezza assertiva, la presa di posizione finale è l'unica mossa con cui Carrère prende il controllo sulla sua storia, mostrando tutto ciò che il film avrebbe potuto essere ma che, ormai, possiamo soltanto immaginare.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Tra due mondi? Scrivetelo nei commenti!

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