Tove, la recensione | TIFF 20

La vita di Tove Jansson, la creatrice dei Moomin, è al centro del film biografico diretto da Zaida Bergroth presentato al Toronto Film Festival

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La vita e gli amori di Tove Jansson, la creatrice dei popolari Moomin, vengono raccontati nel film biografico diretto dalla regista Zaida Bergroth, presentato al Toronto Film Festival, proponendo il ritratto di una donna in difficoltà nel suo tentativo di trovare se stessa e vivere in modo libero, esprimendosi tramite la propria arte.

Il racconto proposto sul grande schermo prende il via a Helsinki, nel 1945, al termine della seconda Guerra Mondiale. Tove Jansson (Alma Pöysti) si ritrova alle prese con una libertà artistica e personale inaspettata, iniziando a sorpresa una relazione aperta e innamorandosi di Vivica Bandler (Krista Kosonen).

Gli ideali del passato che hanno contraddistinto fino a quel momento la sua vita iniziano uno dopo l'altro a sgretolarsi, dando spazio a un desiderio di libertà e di passione difficili da controllare. La sua creatività la porta poi in una direzione inaspettata dando vita alla creazione del mondo dei Moomin, dall'atmosfera un po' malinconica e davvero unica, in grado di conquistare le persone e proporre in immagini degli spunti legati alla sua esperienza personale e quella di una società segnata da bombardamenti, violenza, disperazione e paure. La fama e il successo non sembrano in grado però di regalarle un equilibrio mentale ed emotivo e Tove deve quindi dividersi tra gli impegni di lavoro e speranze e sogni che sembrano destinati a infrangersi.

La regista Zaida Bergroth si avvicina al materiale a sua disposizione senza una grande originalità, limitandosi a raccontare la vita dell'artista senza approfondirne la visione artistica o spiegare in modo adeguato i limiti mentali e sociali che Tove ha affrontato per provare a essere se stessa senza remore morali o subire la pressione della società.

Alma Pöysti fatica più del dovuto a interpretare gli slanci passionali e la complessità che contraddistinguono la vita di Tove, rimanendo in molte scene quasi bloccata in una situazione di stasi emotiva che non convince, riuscendo solo nella seconda metà del film a far emergere le tante sfumature dell'animo dell'artista, la sua sensibilità e la triste malinconia che fanno parte di lei. La creazione dei Moomin viene inoltre presentata in modo accurato, ma non particolarmente approfondito, e nemmeno le conseguenze della fama sono sviluppate rappresentandone le tante contraddizioni. Uno degli elementi più importanti del film, ovvero la storia d'amore tra Tove e Vivica, si perde un po' nello script firmato da Eeva Putro, fin troppo tradizionale nel suo approccio al racconto. Maggiormente interessante, invece, lo spazio dato al rapporto con il padre Victor (Robert Enckell), un famoso e apprezzato scultore finlandese che rappresenta un punto di riferimento ingombrante e di cui Tove subisce in più momenti il peso.
La rappresentazione storica creata tramite le scenografie e i costumi appare curata in ogni minimo dettaglio e contribuisce a delineare un'atmosfera che sottolinea ed enfatizza un periodo all'insegna di grandi cambiamenti e voglia di ritrovare gioia nonostante la necessità di ricostruzione, sociale ed economica.

Il lungometraggio, pur non essendo contraddistinto da una prospettiva originale sul genere o sugli argomenti delle relazioni omosessuali, è apprezzabile per il rispetto e la delicatezza con cui la regista offre il ritratto di una figura poco conosciuta, a differenza delle sue creazioni che ancora oggi conquistano moltissime generazioni.

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