[Cannes66] A Touch of Sin, la recensione
Un film inusualmente diretto e con diverse concessioni commerciali da Jia Zhangke, sulle tensioni che corrono sotto la superficie della nuova Cina del progresso economico...
L'ultima volta che avevamo visto un film di Jia Zhangke era stato il vincitore a sorpresa del festival di Venezia. Si trattava di un'opera strana e inusuale che piazzava un uomo in un luogo che di lì a poco sarebbe stato allagato dalla distruzione di una diga, intento a cercare esseri umani che lì si erano persi.
Per arrivare alle sue conclusioni Jia Zhangke mette in scena 4 storie, da 30 minuti l'una, con 4 personaggi diversi in luoghi diversi della Cina (eppure ognuna è legata all'altra in una qualche blanda maniera). Ogni storia mostra uomini e donne raggiungere il massimo dell'esasperazione per motivazioni differenti e rispondere a questa con un'esplosione di violenza.
Che sia un film più semplice e basilare del solito lo si capisce anche solo dalla scelta degli attori e dalla loro recitazione tutta ammicchi, specie Zhao Tao, moglie del regista, già protagonista di Still Life (e in Italia di Io sono Li).
Il regista non cerca il delicato equilibrio ma come un Iñarritu racconta tante cose diverse per mettere in evidenza un unico tema, ovvero cosa accomuni queste storie. Un concetto unico e semplice, che ruota intorno ai peccati e ma ricorda da vicino la disperazione umana.