Tótem - Il mio sole, la recensione
Attraverso lo sguardo irrequieto della sua piccola protagonista, Tótem - il mio sole evita l'effetto ricattatorio, ma rimane prigioniero della propria semplicità
La nostra recensione di Tótem - Il mio sole, al cinema dal 7 marzo
La regista Lila Avilés, al secondo lungometraggio, iscrive la storia in un contesto socio-culturale preciso (il Messico che mescola modernità tecnologia e riti ancestrali), che viene però lasciato sullo sfondo, da far emergere con pochi ma incisivi dettagli. L'attenzione è sui personaggi e le loro relazioni, l'obiettivo consiste in un'immersione immediata nel microcosmo al centro delle vicende, che passa soprattutto attraverso lo sguardo inquieto della protagonista. Priva di qualunque innocenza o candida gioiosità, Sol si interroga sulla morte, guarda cosa le accade intorno con fare sospetto, non coinvolta dall'atmosfera di festività che i suoi parenti vorrebbero creare. Mettersi alla sua altezza non significa infatti infatilizzare il racconto con scopo ricattatorio: insomma, l'effetto Belfast è saggiamente evitato.
Queste premesse non bastano infatti a Tótem per reggere tutti i suoi 90 minuti di durata. La dimensione quotidiana, il susseguirsi di gesti e azioni semplici danno l'impressione che la storia non progredisca mai veramente. Di conseguenza, troppo presto cala l'interesse per i personaggi e per la storia: manca una svolta, un elemento dissonante per riaccenderlo. La manifesta semplicità dell'operazione diventa il suo punto di forza ma in fondo anche il suo limite: "Esci fuori a goderti il sole, Sol" dirà a un certo punto un personaggio alla protagonista, rintanatasi in cantina. Tótem sta tutto qui.