Tótem - Il mio sole, la recensione

Attraverso lo sguardo irrequieto della sua piccola protagonista, Tótem - il mio sole evita l'effetto ricattatorio, ma rimane prigioniero della propria semplicità

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La nostra recensione di Tótem - Il mio sole, al cinema dal 7 marzo

Che film è, Tótem - Il mio sole, lo si capisce dalle primissime battute. Il formato 4: 3, la macchina da presa stretta sui personaggi, il primo piano della protagonista, la piccola Sol (Naíma Sentíes). Una bambina che insieme alla mamma si reca alla grande casa del nonno, per aiutare le zie e i cugini a organizzare la festa di compleanno per il papà, un giovane pittore malato. Mentre lei non attende altro che vedere il suo genitore, costretto alla reclusione, i preparativi portano i tanti parenti presenti a confrontarsi e a scontrarsi.

La regista Lila Avilés, al secondo lungometraggio, iscrive la storia in un contesto socio-culturale preciso (il Messico che mescola modernità tecnologia e riti ancestrali), che viene però lasciato sullo sfondo, da far emergere con pochi ma incisivi dettagli. L'attenzione è sui personaggi e le loro relazioni, l'obiettivo consiste in un'immersione immediata nel microcosmo al centro delle vicende, che passa soprattutto attraverso lo sguardo inquieto della protagonista. Priva di qualunque innocenza o candida gioiosità, Sol si interroga sulla morte, guarda cosa le accade intorno con fare sospetto, non coinvolta dall'atmosfera di festività che i suoi parenti vorrebbero creare. Mettersi alla sua altezza non significa infatti infatilizzare il racconto con scopo ricattatorio: insomma, l'effetto Belfast è saggiamente evitato.

Così come, per fortuna, Avilés non fa leva sui due elementi di base potenzialmente devastanti (malattia + difficili condizioni economiche) per imbastire un racconto strappalacrime: il suo sguardo è sempre asciutto e lucido, vicino ai personaggi ma mai pietistico nei loro confronti. Lo si evince soprattutto dalle precise scelte di messa in scena: quando ad esempio c'è un passaggio molto forte emotivamente, la macchina da presa fa un passo indietro, non indugiando sul dolore. Il risultato è allora un film genuinamente intimo e intenso… quanto meno nella prima parte.

Queste premesse non bastano infatti a Tótem per reggere tutti i suoi 90 minuti di durata. La dimensione quotidiana, il susseguirsi di gesti e azioni semplici danno l'impressione che la storia non progredisca mai veramente. Di conseguenza, troppo presto cala l'interesse per i personaggi e per la storia: manca una svolta, un elemento dissonante per riaccenderlo. La manifesta semplicità dell'operazione diventa il suo punto di forza ma in fondo anche il suo limite: "Esci fuori a goderti il sole, Sol" dirà a un certo punto un personaggio alla protagonista, rintanatasi in cantina. Tótem sta tutto qui.

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