La Torre Nera, la recensione

Retrodatato al cinema per ragazzi degli anni '80, il primo adattamento di La Torre Nera è molto lontano dagli standard dei franchise contemporanei

Critico e giornalista cinematografico


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È difficile non sentire un senso di deja-vu arrivati a metà strada di La Torre Nera, film che già dalla sua durata inusuale per i blockbuster di questi anni (95 minuti, pochissimo) si presenta come un’operazione d’altri tempi. Realizzato pescando un po’ da tutti gli 8 romanzi della saga letteraria omonima scritta da Stephen King ma posizionato dopo gli eventi dei libri, il primo film di quella che forse sarà una serie sprizza cinema classico per ragazzi da ogni fotogramma. Non sembra appartenere ai nostri anni La Torre Nera, ma pare esserci stato inviato dal 1989. Un ragazzo catapultato in un mondo fantastico, mostri bavosi, avventure incredibili, pistoleri, salvataggi all’ultimo secondo quando entra il tema musicale al massimo volume, un cattivo unico e malvagio, magie e predestinazione. È l’armamentario che una volta la Disney maneggiava con cura inimitabile nei suoi film dal vero e che in tempi recenti è stato sostituito da altre situazioni e altri topoi.

E dire che La Torre Nera dal fantasy per ragazzi degli ultimi anni ci parte, presenta infatti un mondo dentro il nostro mondo come Harry Potter, Twilight e ogni altro emulo, una New York in cui quasi nessuno sa che si muovono dei mostri con indosso pelle umana per mimetizzarsi e rapire ragazzi che non sanno di avere poteri. L’obiettivo è portarli in uno dei molti altri mondi che esistono, le cui porte sono disseminate per la città in ruderi che nessuno considera. Jake (che già dal volto ricorda gli anni ‘80, sembra il protagonista di D.A.R.Y.L.) ha visioni di pistoleri e torri nere, di uomini vestiti di scuro e altri mondi che scoprirà esistere sul serio quando si imbatterà in una di queste porte e, trasportato altrove, inizierà a combattere il grande stregone cattivo con l’ultimo dei pistoleri (nonostante la più classica iniziale riluttanza di quest’ultimo).

Tutto in La Torre Nera è lontano dai film moderni. Lo è il rapporto tra sessi, molto classico nei ruoli e nello sbilanciamento, lo è la matrice patriarcale (racconta della ricerca di un padre, come i blockbuster hanno fatto per decenni) e lo è nel divertimento per tutta la famiglia, nelle ironie un po’ abusate per non dire nell’organizzazione di un racconto rapido da 90 minuti e poco più, privo di grandi spiegazioni e grandi cast.

Il fascino demodè è insomma innegabile e nonostante le molte difficoltà produttive Nikolaj Arcel sembra avercela fatta a consegnare alle sale un film per ragazzi che potrebbe lasciare scontenti i fan dei libri (i quali probabilmente si attendono qualcosa di decisamente più adulto) ma non riesce a creare un’avventura coinvolgente e divertente centrando i due personaggi principali.

Walter e Roland, lo stregone malvagio e il pistolero solitario da un altro mondo, sono le più classiche rappresentazioni di bene e male, in guerra tra di loro da unità di tempo possibili solo nei fantasy. Uno vuole abbattere la torre nera del titolo, l’altro tenerla in piedi. Uno è mago e sembra poter fare tutto, l’altro spara come in un film di Bekmambetov, con scarso riguardo per le leggi della fisica. Ma se Idris Elba centra perfettamente la coolness da eroe vero del suo personaggio (fallato, pieno di traumi, duro ma con il grande cuore e la determinazione per riparare ai propri errori) è McConaughey a reggere il film (anche questo è abbastanza classico Disney: reggere la storia sul villain). Lucido in faccia e con dei capelli da Christopher Walken, elegante nei movimenti, gran camminatore con una postura da nonno (mani giunte dietro la schiena) ma letale e spietato nei suoi cappottoni presi dal guardaroba di Matrix, benché sulla carta somigli a molti altri personaggi Walter in realtà nei gesti, nel fare sbrigativo e nella viscida sicurezza che McConaughey gli infonde è unico (anche la maniera in cui “spara” proiettili con le mani è perfetto), si desidera vederlo di più, quando non c’è si attende il suo ritorno e quando c’è ci si chiede cosa intenda fare.

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