Torino 33 - Keeper, la recensione

Keeper è un film di scelte difficili che ne esplora le conseguenze e la tenacia nell'essergli fedeli, ma non riesce ad avvicinare ai personaggi

Critico e giornalista cinematografico


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Keeper ha un problema e non è di scrittura, non è di recitazione o di messa in scena, quanto di empatia con i protagonisti (quindi tutte e tre queste componenti insieme). Non si tratta di farsi piacere i personaggi, perchè di figure centrali antipatiche, scontrose e odiose è fatto anche il cinema migliore, è una questione di suscitare a ripetizione sempre la medesima reazione, che è una di respinta, anche quando, si intuisce, sarebbe il caso di avvicinarsi di più a loro e ai loro problemi.

Presi da un imprevisto non da poco, l'arrivo di un figlio non desiderato, i due protagonisti minorenni di Keeper sono di fronte a moltissime scelte, devono prima capire se intendono tenere il bambino e poi subire attacchi da parenti, amici e dalla propria voglia di vivere una vita libera, fino a che il bambino non nasce e ovviamente anche dopo. Tutto solo per mantenere fede a questa scelta. Eppure, ad ogni momento, ad ogni cambio di idea e ad ogni scelta definitiva, sembra impossibile stare dalla loro parte o anche solo comprenderne l'ingenuo comportamento.

La determinazione di Keeper a farli agire contro i propri interessi, a fargli prendere una decisione e poi fargli fare tutte gli errori meno comprensibili e irragionevoli, quelli che gli impediranno di tener fede ai propri intenti è talmente frustrante che alla fine inficia anche il "godimento" del dramma. Perché Keeper ha una certa sincerità sentimentale, riesce ad essere molto emotivo senza necessariamente strappare via le lacrime, eppure nonostante l'onestà eccede troppo in antipatia e disprezzo per poi poter anche coinvolgere.

È un problema non poco frequente al cinema, specie in quello autoriale, intenzionato ad abbandonare la retorica della finzione e del linguaggio delle storie fasulle per abbracciare un certo concreto realismo della rappresentazione. Le persone sono difficilmente comprensibili e spesso incoerenti, i personaggi molto meno, rendere i secondi come i primi può portare ad una forte antipatia che sì traduce in presa di distanza.

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