Torino 33 - Il Sapore del Successo, la recensione

Raramente capita di vedere un prodotto dalla spiccata natura commerciale raggiungere i livelli di perfezione e sofisticazione di Il sapore del successo

Critico e giornalista cinematografico


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La storia è la più lineare e classica possibile.

Adam Jones è un cuoco di grande fama, caduto in disgrazia per un alcolismo le cui proporzioni e la cui gravità non smettiamo di comprendere lungo tutto il film da chi gli rinfaccia le sue azioni passate (espediente di grande efficacia e godibile sottigliezza), ora però si è ripulito ed è tornato a Parigi dopo essersi autoesiliato in giro per il mondo, per riaprire un ristorante e conquistare la sua stella Michelin. Per farlo raduna il meglio che riesce a trovare, parte della vecchia squadra e aggiunge dei nuovi innesti. Niente di più semplice: una seconda occasione professionale, che ovviamente è seconda occasione umana, da consumarsi con una squadra da tenere compatta e un amore da trovare.

Il Sapore del Successo (che in originale con molta più pregnanza è intitolato Burnt, bruciato) vuole fare cinema di grande appeal, mira ad un pubblico vasto e gioca con le emozioni più semplici, dal riscatto al desiderio di grandezza, dalla concordanza all’odio, ma lo fa con indubbia grandezza. Steven Knight, già autore di Locke, scrive una sceneggiatura ispiratissima e John Wells (regista di parole e confronti umani come visto in I segreti di Osage County) la mette in scena con la necessaria invisibilità, il film pare essersi messo in scena da solo e questa da sola è caratteristica dei più grandi. Il cuoco Adam Jones non è per niente umano nè plausibile, è una figura da film, pura mitologia delle grandi aspirazioni e celebrazione del talento fallato, lo stesso Il sapore del successo scrive intorno a lui una storia capace di manipolare i sentimenti dello spettatore senza trattarlo da stupido. Tutto il film celebra una visione intelligente e magistrale del cinema commerciale, non persegue fino all'estremo nessuno dei suoi spunti (nè la tenacia rabbiosa necessaria ad eccellere, nè il sentimentalismo, nè infine l'ambiente selettivo dell'alta cucina) ma tiene tutto in impressionante equilibrio.

Che la cucina sia la disciplina più di moda dei nostri anni è abbastanza evidente. Il cinema se n’è accorto da tempo e, a partire da Ratatouille (vero precursore), le pellicole che hanno al centro i cuochi si sono moltiplicate. Il Sapore del Successo poteva essere ambientato nel mondo dello sport come in quello della finanza e non sarebbe cambiato molto, ma è sufficientemente intelligente da sedersi sulle spalle dei giganti e fare tesoro di molte idee filmiche in materia di cuochi e ricette (la coreografia dei piatti curata da un vero Chef come Mangiare bere uomo donna, la cucina formata da galeotti e gente di dubbia morale come il film Pixar e la vita degli chef come battaglia da Amore cucina e curry, sempre scritto da Steven Knight) perfezionandone il fascino con un protagonista rude e bello.
Prodotto industriale di qualità eccellente (in cui compare anche Riccardo Scamarcio in una piccola parte per nulla stonata), unisce moda ed esigenze commerciali ad una fattura stato dell’arte, lavora sugli attori e sugli ambienti come pochissimi film sono in grado di fare, senza nemmeno mettere troppo in primo piano un cavallo di razza come Daniel Bruhl, immenso nella marginalità del suo personaggio, spremendo così fino all’ultima goccia la sua ottima sceneggiatura. Un esempio.

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