Torino 33 - I racconti dell'orso, la recensione

Difficilmente si vedrà un film italiano più strano di I racconti dell'orso quest'anno. Film difficile e affascinante svela due esordienti da tenere d'occhio

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
In macchina due adulti parlano di argomenti così noiosi e “da adulti” che la bambina seduta dietro, lentamente cullata dal movimento dell’auto e dal paesaggio nordico che sfila davanti a lei, si addormenta. Quello che sogna sono due personaggi strani (uno con una tutina rossa, l’altro mezzo robot) che trovano in un bosco sul lago un orsetto di peluche con un taglio sulla pancia da cui esce l’imbottitura. Tenteranno di ripararlo e poi si rassegneranno alla sua fine. Niente di più e niente di meno, questo è I racconti dell’orso, un viaggio nel sogno di una bambina condotto cercando di concedere pochissimo alla normalizzazione onirica del cinema. Non c’è insomma la volontà di rendere il sogno comprensibile e narrativo come si fa solitamente ma, fermo restando un impianto visivo molto più leggibile di quello dei veri sogni, si cerca di assecondarne l’assurda giustapposizione di sensazioni e immagini.

Ci sono villaggi vuoti, laghi, boschi, tramonti e tantissimo di naturale in paesaggi lontani da quelli a cui siamo abituati, lontani da quelli tipicamente italiani. Ci sono due personaggi che non parlano ma scappano o camminano insieme e nel complesso una capacità di narrare per sensazioni e non per eventi che non è comune. I racconti dell’orso è un film difficile da consigliare a qualcuno, un’opera particolarissima che può suscitare rigetto come ammirazione, di certo Sestieri e Amato dimostrano una capacità di gestione del mezzo che non è comune e soprattutto una personalità che rende il loro film apparentemente privo di termini di paragone. I due, titolo di merito, hanno anche un piglio assolutamente anti-intellettuale, almeno nel senso vetusto e stantio in cui il cinema italiano intende quest'aspirazione.

Tutti i limiti di I racconti dell’orso, troppo egoista, snob e altezzoso nel suo non concedere niente al pubblico, sono l’altra faccia della medaglia di due cineasti che possono permettersi quello che pochi altri potrebbero. I due reggono più di un’ora lavorando di ammirazione per i paesaggi e non-narrazione di un universo che si immagina partorito senza logica da una mente infantile, senza noia ma con un gusto per l’esplorazione unico. A loro piace quel che vedono e quel che succede e hanno la capacità di renderlo calamitante per gli altri.
Di certo I racconti dell’orso manca di un ancoraggio forte, non riesce ad avere la determinazione per concentrare le forze in (almeno) un pugno d’intenti o obiettivi da raggiungere, vuole essere tutto e niente, macina nella vaghezza sperando di cogliere qualcosa e vaga come i suoi personaggi. Eppure in questi anni abbiamo visto pochi autori, specie all’opera prima (finanziata parzialmente in crowdfunding, e già solo per questo scatta l’applauso), muoversi così, trovare delle anse di interesse là dove non si direbbe. Sestieri e Amato sono da mettere in cima alla lista dei registi di cui attendere l’opera seconda.

Continua a leggere su BadTaste