Torino 33 - I racconti dell'orso, la recensione
Difficilmente si vedrà un film italiano più strano di I racconti dell'orso quest'anno. Film difficile e affascinante svela due esordienti da tenere d'occhio
Ci sono villaggi vuoti, laghi, boschi, tramonti e tantissimo di naturale in paesaggi lontani da quelli a cui siamo abituati, lontani da quelli tipicamente italiani. Ci sono due personaggi che non parlano ma scappano o camminano insieme e nel complesso una capacità di narrare per sensazioni e non per eventi che non è comune. I racconti dell’orso è un film difficile da consigliare a qualcuno, un’opera particolarissima che può suscitare rigetto come ammirazione, di certo Sestieri e Amato dimostrano una capacità di gestione del mezzo che non è comune e soprattutto una personalità che rende il loro film apparentemente privo di termini di paragone. I due, titolo di merito, hanno anche un piglio assolutamente anti-intellettuale, almeno nel senso vetusto e stantio in cui il cinema italiano intende quest'aspirazione.
Di certo I racconti dell’orso manca di un ancoraggio forte, non riesce ad avere la determinazione per concentrare le forze in (almeno) un pugno d’intenti o obiettivi da raggiungere, vuole essere tutto e niente, macina nella vaghezza sperando di cogliere qualcosa e vaga come i suoi personaggi. Eppure in questi anni abbiamo visto pochi autori, specie all’opera prima (finanziata parzialmente in crowdfunding, e già solo per questo scatta l’applauso), muoversi così, trovare delle anse di interesse là dove non si direbbe. Sestieri e Amato sono da mettere in cima alla lista dei registi di cui attendere l’opera seconda.