Tori e Lokita, la recensione | Cannes 75

Con la consueta precisione nel dipingere un contesto precisissimo, i Dardenne non sembrano avere più la forza di tenere le redini di un racconto

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione dell'ultimo film dei fratelli Dardenne, Tori e Lokita, in concorso a Cannes

I film dei Dardenne si giudicano da come finiscono. La chiusa è sempre il nodo della storia, la loro tecnica di scrittura mette nel tendersi dei nodi il senso di quel che abbiamo visto, dopo che il resto del film, in un accumulo di confidenza con dei personaggi, li ha portati a giocarsi quel poco che hanno ancora da perdere (la vita, l’affetto gli uni per gli altri, l’ultima chance di un amore, una redenzione che non arriverà) in un paio di decine di minuti di fuoco. Non farà eccezione Tori e Lokita che tuttavia, svela anche la più programmatica e didascalica delle morali nella filmografia dei fratelli.

Loro che non sono mai stati inclini a spingere sul patetico, nonostante le loro storie ci vadano sempre vicinissimo, mostrando un pudore per i sentimenti più forti che è parte della loro incredibile tempra morale, qui invece non esitano ad affondare nella storia di questo fratello piccolo e sorella grande, scappati dall’Africa grazie a dei contrabbandieri che ora li ricattano, troppo giovani per non essere raggirati, nelle mani di un cuoco italiano che gli fa fare da corriere della droga. Per fare il salto e liberarsi di questi problemi dovrebbero alzare la posta dell’illegalità nella loro vita, cosa che però implica stare separati per parecchio tempo. Ma il legame è troppo forte, il bisogno di stare insieme troppo determinante.

Di nuovo dopo L’età giovane i Dardenne guardano agli ultimi che vengono da fuori, ai problemi che vengono posti a chi non ha nessuno cui appigliarsi in un mondo di diversa cultura. E questo sembra un po’ levargli forza, come se davanti a storie di personaggi e problemi che vengono da fuori si sentissero in dovere di essere ancora più diretti. I personaggi diranno “Qui non ci vogliono” (come se non l’avessimo capito) e addirittura arriveranno a dire apertamente che se avessero avuto i documenti tutta questa infelicità non ci sarebbe. Esattamente ciò che prima era nell’aria e che noi derivavamo dagli eventi adesso è gridato nelle orecchie del pubblico.

Certo rimangono questi affreschi precisissimi di realtà così dettagliate che non possono non essere vere. I due vengono dal documentario e poi sono passati trionfalmente alla finzione mescolando tecniche e creando uno stile loro. Il mondo di Tori e Lokita, le facce e i ruoli dei contrabbandieri, i rapporti con le persone e le dinamiche delle loro vite sono un contesto a sé la cui esplorazione è comunque interessantissima. Interessantissima anche se adesso sembrano ripiegarsi sempre più in una forma di documentario di finzione, rinunciando agli artifici più belli del loro cinema e perdendo per strada qualcosa.

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