Too Old to Die Young: la recensione
La recensione di Too Old to Die Young, la miniserie diretta da Nicolas Winding Refn e distribuita da Amazon Prime Video
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Too Old to Die Young è la cosa più simile ad una nuova stagione di Twin Peaks che abbiamo visto di recente e che, probabilmente, vedremo per molti anni. Ma si tratta di un paragone che, appena pronunciato, già si contraddice: Lynch è uguale solo a se stesso, e la riconoscibile autorialità di Nicolas Winding Refn gli permette di emanciparsi da ombre così ingombranti. D'altra parte questa miniserie di Amazon, opera estrema, ardua e personalissima, ne condivide eccessi e mancanza di compromessi. In questo senso, si tratta della summa dell'ultima fase del percorso stilistico di Refn. Uno sforzo artistico sregolato, ma ammirevole, che evoca la potenza dell'immagine su un contenuto non sempre all'altezza.
La sintesi di una carriera
La matrice criminale nel cinema del regista danese era già presente nella trilogia di Pusher, ma questa miniserie appare più figlia dell'ultima fase della sua carriera. Lo è a partire dalla forte impronta estetica, immediatamente riconoscibile. Quella fatta di colori saturi che inondano gli acquari lisergici nei quali sembrano calati i protagonisti della serie. È il neo-noir di Refn, che sostituisce il classico bianco e nero con fasci di luce viola, arancioni, verdi, che evoca scenari al neon provenienti da un passato ideale.
Con un'estetica così marcata, Refn lascia che siano gli ambienti a parlare, e riduce al silenzio i suoi personaggi. La cadenza lenta, i lunghissimi silenzi, l'inazione esasperante rimangono marchi di fabbrica. In questo senso il protagonista Martin Jones, imperturbabile e privo di emozioni, è simile – ma non uguale – al pilota senza nome di Driver. Tant'è che non mancano sparatorie, e l'unico momento davvero action della serie riguarda proprio un inseguimento in auto.
Solo Dio perdona, il più estremo tra i suoi ultimi film, rivive invece nella storyline di Jesus. Qui torna la componente edipica, il rapporto morboso con una madre che in questo caso è morta, ma in qualche modo è sempre presente. Ma si tratta anche del tema più ridondante unito alla storyline più faticosa da seguire. Due episodi da più di un'ora e mezzo sono dedicati alla sua storia, alla sua ossessione, al rapporto morboso con la moglie Yaritza (Cristina Rodlo). Qui Too Old to Die Young eccede in negativo, e la ricompensa arriva troppo tardi. Quella ricompensa comunque è proprio Yaritza. Se ci fosse un personaggio simbolo della serie, sarebbe lei: violenta, inafferrabile, manipolatrice. In una serie in cui tutti agiscono in sottrazione per dare l'impressione di controllare il loro mondo, lei lo fa davvero.
Rimane fuori The Neon Demon. E a questo punto è automatico accostarlo all'ultima storyline rimasta, quella di Viggo e soprattutto di Diana. The Neon Demon, tra le altre cose, è la celebrazione della ritualità, del sovrannaturale, forse il vero remake di Suspiria. Too Old to Die Young recupera, purtroppo solo nel finale, quella fascinazione. Lascia intravedere spiragli di qualcos'altro, forse si prepara ad esplodere in un finale fuori da ogni schema... e poi purtroppo rientra nei ranghi. La chiusura della serie è una lenta conferma dello stile, ma ormai il climax – che si raggiunge all'ottavo episodio – è stato superato, e tutto scivola senza grande impatto.
Suggestioni e riferimenti
Se esiste qualcosa di simile all'elaborazione in chiave seriale della letteratura postmoderna (Pynchon su tutti), Refn e Lynch ne sono gli esponenti più importanti. In Twin Peaks e Too Old to Die Young l'opera decostruisce e rigenera continuamente se stessa, parla un linguaggio autoreferenziale, e che forse è inteso per essere decifrato solo dagli adepti del regista. Ma si tratta pur sempre di una comprensione intuitiva e superficiale. Sperimentare queste due opere significa osservare dallo spioncino una stanza nella penombra. Ne cogliamo i contorni, ma l'oscurità prevale. E non è detto che lo stesso autore sia in grado di far luce: Refn ha diretto e scritto la serie "a braccio", come fosse un flusso di pensiero emotivo piuttosto che una vicenda con una sua struttura.
Ciò è evidente in un finale "irrisolto" – vale anche per Lynch – ma che può essere considerato tale solo in base a canoni che qui però sono rifiutati in partenza. Da Pynchon la serie mutua l'accostamento tra simboli di sesso e violenza, amore e morte: fruste prima come oggetti di tortura e poi di piacere, pistole e pugnali come estensioni del proprio corpo. Ma, soprattutto, riprende l'idea della dissolvenza dei personaggi in un mondo incontrollabile e indecifrabile. Dissoluzione tramite la morte violenta, o semplicemente tramite la scomparsa dall'intreccio, come se all'improvviso la storia si rendesse conto che non sono più importanti. Nulla è garantito, nessuno è al sicuro, perché non ci sono una struttura e un percorso a garanzia.
In questo senso si spiega il riferimento ai tarocchi e al tentativo di predire il futuro. Ogni episodio porta infatti il titolo di una delle carte da gioco, e sulla cui interpretazione legata al simbolo dell'episodio si potrebbero spendere fiumi di parole (senza arrivare a nulla). Refn apprende quindi bene la lezione di Jodorowsky, che spesso ha identificato come uno dei suoi punti di riferimento. Questa è la sua personale "Montagna sacra", confermata anche dalla scrittura che sembra procedere per grandi scene, grandi blocchi di scrittura che chiudono con delle dissolvenze. Ma nelle scene ambientate nel deserto potremmo rintracciare anche echi dell'Antonioni americano, soprattutto quello di Zabriskie Point – che sembra addirittura citato palesemente a un certo punto.
Too Old to Die Young: un esperimento necessario
Too Old to Die Young è un progetto esteticamente rigoroso e affascinante, ma più sregolato e respingente dal punto di vista dell'intreccio. È Nicolas Winding Refn a briglia sciolta, con i pregi e i difetti che ciò comporta. Con il Cliff Martinez immancabile alle musiche e addirittura un cameo di Hideo Kojima, che ricambia il favore dopo l'apparizione del regista in Death Stranding. A coadiuvarlo alla scrittura c'è Ed Brubaker, che in Marvel ha curato più cicli fondamentali su Captain America, ma che soprattutto - per quel che ci interessa qui - è l'autore di Criminal.
Oltre a lui, c'è qui un Refn capace di trarre l'essenzialità richiesta a tutto il suo cast, di cui lodiamo soprattutto in questo caso il versante femminile. Ne apprezziamo la sperimentalità, la capacità e il coraggio di eccedere, e di raggiungere anche grandi picchi emotivi nel processo, ora gratificante ora frustrante. Queste tredici ore sono tante, probabilmente troppe – anche perché rilasciate tutte insieme, sarebbe stato più interessante vederle settimanalmente – ma questo show Amazon rimane un progetto necessario, come lo sono tutti quelli che spingono l'asticella un po' più in là.