Toilet, la recensione
Tra cadute di stile e concessioni consolatorie in Toilet si fa strada un vero mestiere e una idea di commedia giusta, corretta e ben eseguita
La recensione di Toilet, in sala e nelle arene estive dal 14 luglio
Essendo un film italiano il terreno in questione è quello della commedia, che per una volta è proprio commedia e non film comico coperto dal manto della commedia. Toilet non vuole far ridere molto ma creare un’atmosfera leggera su una situazione pesante, affondando l’umorismo solo ogni tanto quando serve, vuole ritrarre un mondo guardato con un distacco ironico che non nega mai considerazioni, idee e una morale (più o meno) che invece è la parte più debole. Perché Toilet è un apologo dello “staccare la spina” (esattamente con la medesima banalità di questa espressione), molto spiccio e convenzionale. Tuttavia quel che imbastisce con ritmo, tempi e come detto l’energia di Pignotta è ben più interessante e appassionante di quel che ha da dire con la sua parabola.
Toilet è insomma un film concepito banalmente ma eseguito molto bene, non è un trionfo di tecnica e conta diverse cadute di stile, ma è anche una storia che sa come funzioni il cinema e su cosa sia importante concentrarsi. Soprattutto è una che descrive un mondo intorno al protagonista terribile, spietato, egoista e privo di alcun interesse nelle disavventure del prossimo. La sua tragedia non è tanto essere rimasto intrappolato ma vivere in questo mondo, uno in cui non sembra esserci speranza di un soccorso da amici, conoscenti, carabinieri, soci e neanche ad un certo punto da sconosciuti contattati leggendo numeri sui muri del bagno (bella idea quella). Un mondo in cui vive sul filo della fine e un incidente può scatenare una valanga. Finirà tutto bene, con il sole e i sorrisi, ma l’impressione è che dietro il lieto fine consolatorio rimanga più forte la visione di una società in cui ognuno è sempre tragicamente solo e abbandonato di fronte agli inciampi del caso e alle difficoltà del vivere.