Toilet, la recensione

Tra cadute di stile e concessioni consolatorie in Toilet si fa strada un vero mestiere e una idea di commedia giusta, corretta e ben eseguita

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Toilet, in sala e nelle arene estive dal 14 luglio

Il Locke all’italiana non è statico, fermo sul sedile di un’auto per un lungo viaggio, ma si muove, intrappolato dentro un bagno di una stazione di servizio ha qualche metro quadrato per vagare, sedersi, piegarsi, dare pugni ecc. ecc. Tutto in Toilet vive dell’energia di Gabriele Pignotta (che oltre ad interpretare scrive e dirige), energia che non è solo vocale e facciale (come per Tom Hardy) ma soprattutto fisica, fatta di pose, posizioni e movimenti. Cosa che non stupisce vista la provenienza teatrale di Pignotta. Venditore con un contratto che gli salverà sia vita che conto in banca da firmare tra 6 ore, finisce per errore in una stazione di servizio abbandonata, va al bagno e rimane chiuso dentro. Ha linea telefonica per chiamare ma non una connessione ad internet e nessuno lo trova né riesce ad aiutarlo mentre il tempo scorre. Come in Locke quindi la storia non è quella che vediamo, ma quella che si crea nella nostra testa mentre sentiamo le telefonate. In questo però Toilet non è forte come il suo modello (solo poche telefonate davvero creano un mondo altrove in cui siamo trasportati) ma sa giocare su un altro terreno.

Essendo un film italiano il terreno in questione è quello della commedia, che per una volta è proprio commedia e non film comico coperto dal manto della commedia. Toilet non vuole far ridere molto ma creare un’atmosfera leggera su una situazione pesante, affondando l’umorismo solo ogni tanto quando serve, vuole ritrarre un mondo guardato con un distacco ironico che non nega mai considerazioni, idee e una morale (più o meno) che invece è la parte più debole. Perché Toilet è un apologo dello “staccare la spina” (esattamente con la medesima banalità di questa espressione), molto spiccio e convenzionale. Tuttavia quel che imbastisce con ritmo, tempi e come detto l’energia di Pignotta è ben più interessante e appassionante di quel che ha da dire con la sua parabola.

Con una colonna sonora giusta, una buona capacità di organizzare il racconto e creare la giusta tensione intorno all’inderogabilità degli impegni e l’importanza della posta in palio (ma davvero troppi establishing shot di drone, basta!), Toilet ha idee a sufficienza per arrivare fino alla fine e non si spegne subito come la maggior parte dei film italiani high concept. Certo, avrà bisogno di un paio di deviazioni e momenti che sembrano staccati da tutto e posticci (uno coinvolge il “sesso online” e l’altro una linea sentimentale che compare improvvisa e improvvisa se ne va), tuttavia il livello di ritmo e tensione è costante e quindi piacevole. 

Toilet è insomma un film concepito banalmente ma eseguito molto bene, non è un trionfo di tecnica e conta diverse cadute di stile, ma è anche una storia che sa come funzioni il cinema e su cosa sia importante concentrarsi. Soprattutto è una che descrive un mondo intorno al protagonista terribile, spietato, egoista e privo di alcun interesse nelle disavventure del prossimo. La sua tragedia non è tanto essere rimasto intrappolato ma vivere in questo mondo, uno in cui non sembra esserci speranza di un soccorso da amici, conoscenti, carabinieri, soci e neanche ad un certo punto da sconosciuti contattati leggendo numeri sui muri del bagno (bella idea quella). Un mondo in cui vive sul filo della fine e un incidente può scatenare una valanga. Finirà tutto bene, con il sole e i sorrisi, ma l’impressione è che dietro il lieto fine consolatorio rimanga più forte la visione di una società  in cui ognuno è sempre tragicamente solo e abbandonato di fronte agli inciampi del caso e alle difficoltà del vivere.

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