Togo: una grande amicizia, la recensione
La vera storia del cane da slitta eroico protagonista della corsa al siero del 1925 in Togo diventa un'educazione agli spazi del west e all'eroismo dell'outsider
TOGO - UNA GRANDE AMICIZIA: LA RECENSIONE
In un film centrato su un cane l’unica cosa che non bisogna davvero sbagliare è il cane. Al resto c’è rimedio. E Togo: una grande amicizia lo centra perfettamente, il suo cane è anche migliore dell’originale, cioè il vero cane da cui è tratta la storia, almeno a giudicare dalle classiche foto dei veri personaggi che chiudono il film. Solo secondariamente vengono gli umani e in questo caso era interessante capire se Willem Dafoe, che a questo punto può davvero dire di aver interpretato qualsiasi cosa in carriera da Gesù a Goblin fino alla spalla di un cane in un film di cani, sarebbe stato all’altezza, cioè se avrebbe avuto il carisma giusto e le spalle larghe a sufficienza per fare animare quest’avventura molto maschile tra un uomo e la sua muta di cani. A sorpresa, come nella realtà, i cani tirano la slitta e Dafoe si limita a seguire.
Rivalità storico-distributive a parte, nonostante Dafoe non riesca a dare il suo contributo, Togo interpreta benissimo il proprio genere di riferimento e centra tutti i momenti che vanno centrati. Diretto dal direttore della fotografia (che fa anche da direttore della fotografia) Ericson Core con un gusto giustamente spostato sui grandi scenari e una buonissima capacità di centrare i controluce, le tempeste, le color correction e tutto l’impianto cromatico per favorire il mood di ogni scena, Togo non vuole inventarsi niente ma ha il merito indubbio di fare bene il suo dovere. Cane riottoso e poco “da slitta”, Togo dovrebbe essere venduto e ma è troppo indisciplinato dunque i proprietari lo tengono controvoglia. Vivace e affettuoso si guadagnerà la testa della slitta con un cuore e una determinazione incrollabili che faranno la differenza durante una corsa impossibile.
L’obiettivo di Togo è infatti quello di fare cinema virile per ragazzi, un campo in cui la Disney ha sempre messo il piede a partire dagli anni ‘60, e lo fa benissimo con una chiarissima consapevolezza sia storica (il rapporto personaggio-grandi spazi tipico del western che il cinema americano si porta appresso dagli anni ‘30) sia moderna di cosa significhi essere l’ultimo anello di una grande tradizione e saperla rimixare per un pubblico moderno.
Lo fa così tanto che l’odiosissima locuzione “film per tutta la famiglia” qui sembra a un certo punto addirittura avere quasi un senso.
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