Togo, la recensione

Prima produzione uruguaiana Netflix, Togo mette al centro una storia semplice dai valori universali, ma prevedibile e senza spessore

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La nostra recensione di Togo, disponibile su Netflix dal 5 aprile

In strada, in piena notte, un diciassettenne viene brutalmente accoltellato da alcuni membri di una gang criminale. A breve distanza, Togo, protagonista dell'omonimo film, li guarda senza intervenire, apparentemente rassegnato. Un momento chiave per capire come l'opera diretta da Israel Adrián Caetano, la prima produzione uruguiana disponibile su Netflix, aderendo al punto di vista del personaggio metta in scena una realtà specifica che appare non concreta quanto trasfigurata dal suo carattere.

Togo (Diego Alonso) è un anziano che vive come parcheggiatore in un quartiere di una cittadina uruguaiana mai nominata, aiuta chi arriva lì a sistemare la propria auto, e poi le sorveglia. Ha un passato alle proprie spalle che questo lavoro gli permette di dimenticare, e prosegue così tutte le giornate, stringendo amicizia con i passanti. La povertà della zona emerge in pochi tratti, un bambino che gioca a pallone in una stretto androne, i poveri interni di alcune abitazioni, illuminati da flebili luci. Di questo quadro dunque non emerge tanto la durezza, le difficile condizioni, quanto l'ineluttabilità, veicolata dal carattere placido del protagonista, che sembra ormai farsene una ragione, pur con un tocco di liricismo per la bontà con cui questi compie le proprie azioni.

Tutto nella vita del protagonista cambia quando nel suo quartiere arrivano degli spacciatori intenzionati a prenderne possesso, senza guardare in faccia nessuno. E quando, allo stesso tempo, conosce e stringe amicizia con una giovane ragazza, Mercedes (Catalina Arrillaga) che preferisce la strada piuttosto che rimanere con i suoi genitori, ricchi ma distanti da lei. Togo la accoglierà nel suo mondo, inizialmente riluttante, per finire poi per proteggerla. Lei sembra voler tendere una mano verso il mondo criminale che cerca di portarla dalla sua parte, lui fa di tutto per tenerla lontana ma quando poi la situazione si fa insostenibile dovrà affrontare a viso aperto i criminali nella difesa del proprio territorio passando dall'essere distaccato a intervenire in prima persona. A questo punto, il film prima sembra diventare una sorta di Gran Torino, ma senza la profondità dei temi e personaggi né la mano registica di un Clint Eastwood, per poi confluirà nella resa dei conti nella grossolanità di un Io vi troverò in versione senile con il protagonista che tira un cazzotto e poi ansima dalla fatica.

Il cuore del film di Caetano non è dunque l'aspetto socio-politico (il che non è per forza di cose un male) che resta sullo sfondo, senza intenti di denuncia o documentaristici. Nemmeno il versante crime, che, dopo essere stato più volte anticipato, arriva solo alla fine con poche scene e non è gestito bene. L'intreccio infatti ruota soprattutto intorno alla semplicità della storia dell'incontro tra due emarginati, Togo e Mercedes. destinati a stare assieme, a imparare qualcosa l'uno dall'altro, in un universale concezione di "famiglia" non convenzionale. Il problema diventa quando poi, se dunque il film punta su questa dimensione, non dota di alcuno spessore i due protagonisti, ritratti sempre come di buon cuore e animati dalle buone intenzioni. Di conseguenza viene meno l'empatia nei loro confronti e appaiono inoltre forzate alcune piccole rivelazioni di cui i due protagonisti, e noi con loro, vengono a conoscenza, che fanno approdare la storia a un esito scontato.

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