Togo, la recensione
Prima produzione uruguaiana Netflix, Togo mette al centro una storia semplice dai valori universali, ma prevedibile e senza spessore
La nostra recensione di Togo, disponibile su Netflix dal 5 aprile
Togo (Diego Alonso) è un anziano che vive come parcheggiatore in un quartiere di una cittadina uruguaiana mai nominata, aiuta chi arriva lì a sistemare la propria auto, e poi le sorveglia. Ha un passato alle proprie spalle che questo lavoro gli permette di dimenticare, e prosegue così tutte le giornate, stringendo amicizia con i passanti. La povertà della zona emerge in pochi tratti, un bambino che gioca a pallone in una stretto androne, i poveri interni di alcune abitazioni, illuminati da flebili luci. Di questo quadro dunque non emerge tanto la durezza, le difficile condizioni, quanto l'ineluttabilità, veicolata dal carattere placido del protagonista, che sembra ormai farsene una ragione, pur con un tocco di liricismo per la bontà con cui questi compie le proprie azioni.
Il cuore del film di Caetano non è dunque l'aspetto socio-politico (il che non è per forza di cose un male) che resta sullo sfondo, senza intenti di denuncia o documentaristici. Nemmeno il versante crime, che, dopo essere stato più volte anticipato, arriva solo alla fine con poche scene e non è gestito bene. L'intreccio infatti ruota soprattutto intorno alla semplicità della storia dell'incontro tra due emarginati, Togo e Mercedes. destinati a stare assieme, a imparare qualcosa l'uno dall'altro, in un universale concezione di "famiglia" non convenzionale. Il problema diventa quando poi, se dunque il film punta su questa dimensione, non dota di alcuno spessore i due protagonisti, ritratti sempre come di buon cuore e animati dalle buone intenzioni. Di conseguenza viene meno l'empatia nei loro confronti e appaiono inoltre forzate alcune piccole rivelazioni di cui i due protagonisti, e noi con loro, vengono a conoscenza, che fanno approdare la storia a un esito scontato.