Titane, la recensione | Cannes 74

Il metallo, la carne, il sesso e il superamento dei generi vengono mescolati in un weird horror francese da Titane

Critico e giornalista cinematografico


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Titane, la recensione | Cannes74

Rimanere incinta da un’automobile è un’idea che sembra uscita da un film di Cronenberg degli anni ‘80 o da uno di Tsukamoto degli anni ‘90, invece è Julia Ducournau oggi. Cineasta al secondo film dopo Raw (altra storia di carne), non gira un body horror come si sarebbe fatto in passato ma un weird horror come si fa ora, cioè un film che il suo carburante lo trova nello spiazzamento ironico delle stranezze e nel ridicolo e tragico dell’assurdo che affianca al sangue, alla disperazione, alla mutazione e infine all’orrore. Praticamente lo trova in Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli messo in sottofondo ad un massacro.

È Alexia, la protagonista, che massacra gli altri e poi se stessa, bambina vittima di un’incidente in seguito al quale ha una placca di titanio in testa, da grande fa la ragazza immagine che si struscia sulle auto durante le fiere di settore. Tanto si struscia come fossero dei preliminari erotici che una notte un’auto bussa alla sua porta per completare il rapporto (e chissà se è la prima volta!), raggiungeranno insieme l’orgasmo e lei rimarrà incinta. Invece di perdere sangue comincerà insomma a perdere olio motore.
Ma il vero film è un altro e deve ancora arrivare: è uno fatto di omicidi, fuga e rifugio presso un pompiere dalla visione del mondo virile (un ruolo che sembra calcato su quelli di J. K. Simmons) che la scambia per il figlio perduto da piccolo e la accoglie, bisognoso di contatto.

Alexia inizia usando il suo corpo per eccitare gli altri seguendo le convenzioni della sessualizzazione del corpo femminile e finisce a nascondere il proprio sesso, l’essere incinta e tutto quello che ne consegue, si finge uomo e come tale viene accettata fino a che il suo sesso reale non conta più niente. Interessata al metallo delle auto più che agli uomini o alle donne, è al di là del concetto di gender fluid, supera la sessualità convenzionale pur essendo incinta, mentre per tutto il film cerca di modificarsi picchiandosi e martoriandosi. Ha la sete di sangue e morte altrui che le viene dal metallo che contiene, ma di fronte ad un uomo duro e debolissimo, imbottito di steroidi, di fronte al suo mondo in cui invece di uccidere si salva la gente, sembra quasi cambiare. Più forte del titanio sono solo gli occhi di Vincent Lindon.

Finirà con la chiusa giusta, una palingenesi al di là dei confini di carne (quindi sessualità) e metallo. Julia Ducournau ha il passo del cinema migliore e affronta tutte le questioni più importanti oggi (specie in un film sulla carne e le sue trasformazioni) e Titane, vale la pena di dirlo chiaramente, è un film eccezionale. Tuttavia è sempre ad un passo dalla perfezione, dal riuscire a coinvolgere davvero lo spettatore in questo spettacolo dell’assurdo e dell’ironico, a sorprenderlo davvero (non con i balletti e le trovate ironiche) con le possibilità di trasformazione del corpo che non ci aspettiamo.
Addirittura in un sottogenere che sembra essere caratterizzato dal fatto che è impossibile strafare, qualsiasi cosa accada, lo stesso più volte l’impressione è che Titane carichi troppo (la musica sacra sopra il gran finale forse era anche un po’ troppo, aggiunta per il suo senso più spicciolo e non coerente con il resto del film), perdendosi dietro a tante idee buone (il ballo che imbarazza i pompieri) slegate tra loro.

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