Tiny Pretty Things (prima stagione): la recensione

La prima stagione di Tiny Pretty Things non sfrutta gli elementi originali a propria disposizione e propone una narrazione purtroppo confusa e sopra le righe

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Tiny Pretty Things (prima stagione), la recensione

Tiny Pretty Things porta sugli schermi di Netflix il romanzo scritto da Sona Charaipotra e Dhonielle Clayton proponendo un racconto ambientato nel mondo della danza che lascia insoddisfatti a causa del livello mediocre raggiunto dalla rappresentazione del mondo dell'arte e dalla costruzione dei personaggi.
La serie, fin dai primi minuti, vorrebbe intrecciare il fascino della vita dei giovani ballerini a un lato oscuro fatto di rivalità, tradimenti, passioni e sfruttamento di minori, non riuscendo però ad andare oltre un intrattenimento più vicino a momenti da soap opera che al thriller e che usa in modo fin troppo gratuito la sessualità all'interno della narrazione. Il contrasto tra la bellezza della danza e la durezza della vita quotidiana delle aspiranti star era già stato tratteggiato con bravura e intensità cinque anni fa dal sottovalutato Flesh and Bone, di cui Tiny Pretty Things sembra purtroppo a tratti la copia sbiadita in salsa adolescenziale.

La serie creata da Michael MacLennan prende il via con l'arrivo di Neveah (Kylie Jefferson) all'accademia Archer School di Chicago dopo che la giovane stella emergente della scuola, Cassie (Anna Maiche) è stata aggredita e spinta da un tetto da qualcuno che conosceva. La nuova arrivata si ritrova a condividere la stanza con June (Daniela Norman), buona amica di Bette Whitlaw (Casimere Jollette), una ragazza che vive nell'ombra della sorella maggiore nonostante il proprio talento. Nel gruppo di studenti ci sono poi Shane (Brennan Clost), un ballerino gay, Nabil (Michael Hsu Rosen) che aveva una relazione con Cassie, Oren (Barton Cowperthwaite) che ha dei disturbi alimentari, e Caleb (Damon J. Gillespie) che ha una relazione segreta con una persona molto importante nell'accademia. La rivalità tra i giovani è alimentata dall'arrivo di Ramon Costa (Bayardo De Murguia), uno dei migliori coreografi al mondo che è stato ingaggiato per portare in scena il prossimo spettacolo dell'Archer School, una coreografia ispirata alla storia di Jack lo squartatore, e ha una relazione con Delia Whitlaw (Tory Trowbridge), la sorella di Bette.

Il team di sceneggiatori al lavoro sulla serie non è riuscito a sviluppare in modo convincente nessuno dei fin troppi elementi che compongono la trama, delineandoli in modo approssimativo e superficiale. I problemi dei teenager, dalla necessità di emanciparsi alla bulimia, senza dimenticare l'ambizione e il desiderio di trovare l'amore, vengono messi in secondo piano da un mistero da risolvere nebuloso e da relazioni sentimentali sopra le righe.
Nonostante delle coreografie di buon livello, soprattutto nella seconda metà della stagione, Tiny Pretty Things non riesce quasi mai a ritrarre i sacrifici e le difficoltà di chi vuole provare a fare carriera nel mondo della danza in modo credibile e rispettoso.
La disciplina e la dedizione che caratterizzano gli anni di studio dei ballerini vengono completamente messe in secondo piano da piani machiavellici per eliminare la concorrenza, legami all'insegna dell'opportunismo e drammi più o meno coinvolgenti.
Il personaggio di Neveah, che dovrebbe rappresentare lo sguardo dello spettatore che si avvicina "innocente" agli intrighi dell'Archer School, è un concentrato di fervore giovanile, voglia di riscatto sociale, traumi personali e desiderio di emergere, il tutto portato all'estremo e senza soffermarsi in modo adeguato su nessuna delle tematiche proposte. Intorno a lei la situazione non migliora e, nonostante alcune puntate possano far ben sperare, lo show prosegue verso l'epilogo della stagione senza mai concedersi il tempo di sviluppare in modo non affrettato situazioni ed eventi, nonostante alcuni dei tasselli della narrazione siano molto rilevanti e attuali.

Il rapporto tra genitori e figli, elemento spesso centrale nelle serie che si rivolgono a un pubblico prevalentemente giovanile, è purtroppo stereotipato e la rappresentazione del mondo adulto è quasi al limite del ridicolo. Persino la figura della detective Isabel Cruz, parte affidata a Jess Salgueiro, sembra non poter andare oltre la figura di una persona segnata dai traumi del passato e incapace di capire realmente i teenager e le loro difficoltà.
Non basta prendere degli eventi portati all'estremo - come la dimensione sessuale della vita degli studenti - per mettere in ombra il fatto che la serie non sviluppa nessuno dei suoi elementi in modo coerente e soddisfacente. Tiny Pretty Things, proprio per questa confusione narrativa, mantiene la curiosità degli spettatori che fino all'ultimo si chiedono se qualcuno si preoccuperà seriamente della possibile presenza di un potenziale assassino, delle molestie e dei problemi mentali degli studenti.
Il cast, seppur non brillando, fa quel che può per sostenere una sceneggiatura traballante e con tantissimi passaggi a vuoto, riuscendo a dare il meglio di sé nelle scene in cui si ritorna ad affrontare problematiche maggiormente realistiche mostrandone la forza nel reagire a ingiustizie e intolleranze.

L'ambientazione nel mondo della danza sulla carta sembrava possedere il potenziale utile a differenziarsi da altri progetti che affrontano tematiche simili, tuttavia lo show non la utilizza nel modo adeguato, inserendo inoltre delle coreografie come rappresentazione della dimensione interiore dei protagonisti che, però, risultano in quasi tutte le occasioni scollegate dal resto della narrazione.

Tiny Pretty Things riesce a intrattenere con le sue assurdità e le sue svolte irrazionali, risultando però un'occasione davvero sprecata per sfruttare il mondo della danza per raccontare i problemi di chi si avvicina all'età adulta in un contesto, professionale e di vita, complesso e affascinante.

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