La timidezza delle chiome, la recensione

La Timidezza delle chiome è uno di quei documentari costruiti lungo un ampio arco di tempo, con una pazienza e uno spirito d’osservazione che richiedono al documentarista - qui Valentina Bertani - di piegarsi umilmente di fronte alla realtà.

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La recensione di La timidezza delle chiome, al cinema dal 10 novembre

La Timidezza delle chiome è uno di quei documentari costruiti lungo un ampio arco di tempo, con una pazienza e uno spirito d’osservazione che richiedono al documentarista - qui Valentina Bertani - di piegarsi umilmente di fronte alla realtà. Si tratta infatti di un doc “character-driven”, dove la narrazione si adatta all’imprevedibilità del soggetto scelto, pur sempre con una scrittura che guidi il reale a fini drammaturgici (non per imbrogliare, ma per dare alla storia un respiro coerente). Bertani compie esattamente questo gesto di umiltà, riuscendo a tirare fuori da “suoi” Benjamin e Joshua un doc che sa di racconto di formazione, tra toni di commedia e momenti di dolcezza che aprono allo spettatore le porte dell’interiorità dei suoi protagonisti.

Benjamin e Joshua Israel sono due gemelli omozigoti con una disabilità intellettiva. Sono caratterizzati da un grande naso, occhi chiari e un’ampia chioma di capelli. Quasi due personaggi del cinema del fratelli Safdie. Ciò che però è magnetico nel modo in cui si pongono è il loro carattere che, seppur simile, li rende due interpreti leggermente diversi di un sarcasmo esilarante (con un eloquente accento romano) e di una bruciante volontà di crescere. Una volontà che si scontra continuamente con quelli che per la norma sociale verrebbero considerati dei limiti. Bertani segue i due gemelli dal loro esame di maturità lungo un’estate di scoperte e di nuove esperienze che porterà i due fratelli inseparabili a individuare i contorni di una intima individualità.

Bertani non cerca mai il pietismo, ma osserva i due con un amore e un’empatia che trapassano lo schermo. Pur riprendendoli in situazioni piuttosto ordinarie, Bertani riesce infatti a coglierne lo spirito. In questo senso è molto intelligente l’alternanza di filmati d’archivio (dove vediamo l’infanzia dei due) che, come fulmini a ciel sereno, interrompono la narrazione per gettare i semi di un passato che possiamo solo immaginare, ma che le immagini riescono a rievocare in modo istantaneo. La cosa assolutamente più bella, però, di La timidezza delle chiome è il modo in cui la regista decide di osservare le scene, usando diversi punti macchina (tra piani ravvicinati e piani d’insieme) creando un effetto immersivo da film finzionale, dove però la naturalità e la realtà della scena non vengono in alcun modo minati.

Guardando infatti La timidezza delle chiome non si ha nemmeno per un attimo l’impressione che ciò che si vede sia costruito: in un certo senso lo è (c’è un certo lavoro non da poco di montaggio), eppure il film riesce ad essere talmente scorrevole e magnetico che quasi non ci si fa caso.

La timidezza delle chiome è un documentario straordinario che non mira a parlare di disabilità ma che osserva a cuore aperto due fratelli adolescenti che stanno cercando la loro strada. Due soggetti certamente atipici, sì, ma che proprio per la loro ironia e il loro carattere si fanno semplicemente amare per quello che sono. Senza moralismi del caso.

Siete d’accordo con la nostra recensione di La timidezza delle chiome? Scrivetelo nei commenti!

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