Tigers, la recensione | Roma 15
Poco preciso e coerente nel dipingere l'ambiente sportivo, Tigers riesce però nei suoi momenti migliori a raccontare il bisogno di contatto umano
Molto di come è raccontato l’ambiente delle giovanili è intrigante perché inedito. Al posto della sete di vittoria e dell’esigenza di fare gruppo c’è la competizione per arrivare in prima squadra, al posto dello spogliatoio c’è una grande casa dove vivere tutti insieme come in un brutto reality da reti generaliste, al posto degli allenatori che formano c’è una specie di sergente istruttore che massacra.
Il protagonista è prima di tutto alienato da una lingua che non parla, l'italiano, e già che nessuno in un clima internazionale come quello parli inglese (nemmeno l’allenatore), che nessuno traduca e nessuno aiuti suona poco preciso. Come suona strano che una squadra che paga molto un giocatore (viene detto chiaro e tondo) poi non cerchi di valorizzarlo ma lo abbandoni a sé, curandosi poco della resa. Ma è solo l’inizio di una serie di dettagli che per come sono proposti stridono.
Per il resto però il racconto riesce, nei suoi momenti migliori, a toccare delle corde oneste. Ronnie Sandahl (già sceneggiatore di Borg McEnroe) gestisce bene le scene sul campo, crea una tensione buona puntando sul senso di realizzazione, il campo come rivincita e al tempo stesso sulla progressiva chiusura del protagonista. In particolare non è niente male come Erik Enge, l’attore, riesca a toccare corde di alienazione e bisogno di umanità convincenti.
Di scena quotidiana in scena quotidiana, con la scansione delle stagioni, di ellisse in ellisse tra una telefonata e l’altra dei genitori dalla Svezia, Tigers riesce a far scendere gli spettatori vicino al protagonista, almeno fino all’incontro con una modella anch’essa svedese, anch’essa stanziata a Milano.
Lì Tigers si guadagna il proprio titolo, ma forse è la lettura più sbagliata dell’intera vicenda. Tigers fa un parallelo netto e chiaro, a parole, tra il calciatore e la modella e le tigri in gabbia. Come una tigre in gabbia obbediscono ad ordini e vivono inquadrati, la loro vitalità tarpata, il loro desiderio naturale di vivere come gli altri della loro specie soffocato. E come le tigri in gabbia possono esplodere all’improvviso in reazioni pericolose. Che è un rischio vero. Nella realtà dopo gli incidenti accaduti a Bengtsson l’Inter ha fatto ammenda e preso provvedimenti per seguire psicologicamente i ragazzi delle giovanili e prevenire depressione e altri guai. Una colpa e un problema c’erano effettivamente.
Così anche l’onesto desiderio di contatto umano che Tigers riesce ad un certo punto a raggiungere si perde nelle pieghe di una lettura poco convincente della storia (e di un finale che, in questo senso, fa ridere involontariamente).
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