Tick, tick... BOOM!, la recensione

Tick, tick... BOOM! di Lin-Manuel Miranda è un musical amaro e meraviglioso ma che potenzialmente avrebbe potuto essere ancora più grandioso.

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Tick, tick… BOOM!, la recensione

Tick, tick… BOOM! parte con un’intuizione magnifica: fare di Jonathan Larson un Man on the moon del mondo del teatro, il suo Andy Kaufman, e di Andrew Garfield (con tutte le differenze del caso) il Jim Carrey di un film testamentario, ritratto amaro di un artista outsider e dei suoi sogni. Tratto dal musical omonimo e autobiografico di Larson, scritto da Steven Levenson e diretto da Lin-Manuel Miranda (al suo esordio alla regia), Tick, tick… BOOM! comincia con un palcoscenico, con l’artista che veste il suo personaggio e che dà il via - in quella che diventa la cornice di tutto il film - al racconto della sua vita tramite immagini d’archivio ricostruite, dove Garfield comincia la sua immedesimazione totale.

Il film racconta il tentativo di Larson, sull’ansiogena soglia dei trent’anni, di realizzare il suo musical futurista Supereme, dedicando tutto sé stesso per riuscire a realizzarlo. Vuole fare qualcosa di epico, di generazionale. Intorno a lui dilaga l’AIDS, le persone soffrono. Eppure lui, pur sapendolo e usandolo come spunto, è come immobile di fronte alla realtà. 

L’intuizione iniziale di ragionare su molteplici livelli discorsivi il film, purtroppo, la mette subito da parte, mostrando una gran paura di spingere l’acceleratore sia sull’uso più creativo delle immagini che sulla tristezza e il disincanto. Lin-Manuel Miranda subito si nasconde in inquadrature fisse, (dove il dinamismo è solo quello del campo/controcampo) lasciando fare tutto all’istrionico Andrew Garfield che - per fortuna - si mangia letteralmente la scena, confermando non solo come la vena comica sia quella a lui più congeniale ma anche quanto sia perfettamente in grado di fare il  performer.

Garfield a parte, l’amara storia di un autore forse più ossessionato dal successo che dalla creazione (e in questo va preso atto che non c’è nessuna glorificazione ma anzi una certa durezza commossa verso la figura di Larson) diventa una storia malinconica ma in fondo sempre speranzosa, che non ci illude mai che le cose possano davvero andare male. Anche quando vanno male, la luce in fondo al tunnel si vede sempre. Più che a Forman, siamo decisamente più vicini a Damien Chazelle, a quell’idea di malinconia devastante mascherata da grande spettacolo glorioso.

Messa da parte la potenzialità più (auto)riflessiva, Tick, tick… BOOM piano piano però si riprende e Lin-Manuel Miranda si dà al divertimento. Le scene musicali diventano il centro drammaturgico e visivo di tutto, è dove si gioca il senso della storia e hanno idee fortissime, costruite sull’idea del contrasto tra musica/testo e immagini. La sequenza del brunch della domenica è in questo senso spettacolare, realizzata come qualcosa di epico mentre racconta in realtà della vuotezza della vita. Altre sequeneze sono meno forti, ma nel complesso Tick, tick… BOOM! è, in quanto puro musical, sinceramente eccezionale.

Le musiche spesso ironiche di Larson e la sua disillusione trovano un corrispettivo perfetto nel fatto che l’oggetto del desiderio (Broadway) qui non si vede mai, mentre il protagonista letteralmente butta via tutto il resto, gli affetti in primis, per raggiungerlo. Larson immagina e basta mentre tutto intorno a lui procede inesorabilmente come le lancette di un orologio. Questa è l’amara ironia che dà senso al film: quella di chi pensa di essere davanti a una scelta (devo continuare a provare o mi devo svegliare?) mentre in realtà sta già decidendo che persona essere senza rendersene conto.

Tutto questo alla fine torna, acquisisce un senso. E anche se quel senso non è tanto alto quanto prometteva di essere, il viaggio che compiamo per arrivarci è, comunque, meraviglioso.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Tick, tick... BOOM!? Scrivetelo nei commenti!

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