Ti stimo fratello, la recensione

Un non-film che, quando non ripete tutto il repertorio televisivo del protagonista, utilizza senza abilità le solite gag di repertorio sfrutttate da qualunque comico...

Critico e giornalista cinematografico


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Quello che è lecito aspettarsi da un film che porta al cinema un personaggio di successo della comicità televisiva è divertimento, poche pretese e un po' di originalità che giustifichi il passaggio al grande schermo.

Quello che solitamente succede invece è che i film dei comici televisivi sono poco divertenti, molto pretenziosi e messi in scena ripetendo tormentoni e battute già provate in tv. Questo accade perchè nel migliore dei casi si è di fronte ad intrattenitori di medio livello, quasi mai di fronte ad attori veri o, ancora più difficile, sceneggiatori seri.

E' così quindi anche per Ti stimo fratello che, quando non ripete le frasi ad effetto o le gag televisive, sfrutta meccanismi abusati e già parte del repertorio comico dei clown del circo.

Alla base di tutto il meccanismo (umoristico e narrativo) c'è il continuo scambio di persona tra Giovanni e Johnny, fratelli gemelli ma molto diversi di carattere. Uno molto preciso, l'altro molto cretino. Uno sistemato a Milano, l'altro mandato lì dal padre (finanziere) per sostenere l'esame di ingresso in finanza e, di fatto, affidato al fratello. Johnny chiaramente finirà col mandare all'aria l'esame ma salvare prodigiosamente lo studio pubblicitario dove lavora Giovanni, presentando un'idea idiota che subito piace ad un cliente afroamericano sempre vestito come Woody Strode in La mala ordina. L'originale idea dell'inversione di ruoli viene quindi usata nella vita privata, nella vita sentimentale, sul lavoro e infine in questura.

Ma la prova vera dell'inconsistenza filmica di Giovanni Vernia (addirittura anche regista del film) arriva quando i comprimari più capaci (Maurizio Micheli, Diego Abatantuono ma anche il grandissimo Paolo Sassanelli) gli fanno da spalla e con poche battute (anch'esse per nulla originali ma almeno portate con abilità) lo sovrastano quanto a carisma e risate.

Fa così, alla fine, sorridere (involontariamente) come ad un certo punto del film si ironizzi su due robusti e poco attraenti proprietari di tavola calda che vanno alle selezioni del Grande Fratello, alludendo al reality come a una delle tante bassezze che caratterizzano i comprimari del film (c'è chi ruba, chi corrompe, chi evade...). Fa ridere involontariamente perchè poi si pensa invece a quale sia la provenienza del protagonista, e quindi il pulpito da cui parla...

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