Ti giro intorno, la recensione

Le strutture esistono per poterci inventare sopra un film, quando invece diventano direttamente film il risultato è Ti giro intorno

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Ti giro intorno, in uscita su Netflix il 6 aprile

Non ci sono grandi idee dentro Ti giro intorno. L’impianto lo conosciamo bene: una ragazza che non è quel che vorrebbe essere, un ragazzo bello che si interessa a lei e sembra aprirle il mondo che tanto desiderava, sembra poter essere quella persona non solo da amare ma con cui crescere personalmente, una madre oppressiva e un padre un po’ vigliacco da riavvicinare, un trauma nel passato del ragazzo da ricucire con amore, una nuova cittadina in cui integrarsi. In più questo film ci mette problematiche di alto rango. Lei, Auden, è nata in un contesto classista e nonostante sia naturalmente inclinata ad essere più morbida, lo stesso considera la piccola cittadina in cui si è spostata a vivere con il padre (da che stava con la madre) come un postaccio da cui non si può che desiderare di andare via, perché non è New York. Come in una brutta commedia italiana capirà che lì, in provincia può esistere una vita più autentica.

Che a mancare in questa formula generica sia un po’ di personalità lo si capisce quando è in scena Andie MacDowell, che invece il mestiere della commedia romantica lo padroneggia e a colpi di capelli grigi e sorrisi falsi anima le scene, crea interesse, stimola dinamiche interessanti e ribalta dialoghi abbastanza noiosi in battaglie dialettiche nelle quali esiste la sensazione che sia tutto possibile, che i personaggi non siano stati ingabbiati nei loro ruoli da una scrittura troppo timorosa per deviare dai soliti percorsi obbligati, ma che possano sorprenderti.
Poi non lo faranno, sia chiaro, ma quella sensazione è ciò che attiva la testa e permette di intrattenere una relazione con il film. Che è il minimo sindacale da pretendere.

L’aveva fatto Sofia Alvarez scrivendo Tutte le volte che ho scritto ti amo, e non ce la fa qui in questo primo film che dirige oltre a scrivere. Ti giro intorno (che titolo è? Perché? L’originale Along For The Ride è un gioco di parole con la bici di uno dei protagonisti ma così non ha senso) proprio non cerca questa relazione, cerca il look Netflix (che essendo l’unico rimasto a produrre commedie romantiche è diventato il look delle teen romantic comedies), e cerca momenti di confessione e sguardo languido di attori non sufficientemente abili per poterli sostenere. Non basta. Non è mai bastato da che se ne ha memoria. E così il piccolo centro vincerà sulla grande città perché, bisogna ricordarlo, i sentimenti non conoscono geografia e altre amenità simili mentre lo spettatore pensa ad altro.

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