Thor: the dark world, la recensione

Con un passo in avanti clamoroso rispetto al primo film, Thor colma la distanza che separava il suo film da quelli degli altri colleghi vendicatori con un sequel divertente, leggero e appassionante...

Critico e giornalista cinematografico


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Possiamo finalmente dire che The Avengers di Joss Whedon non è passato invano.

Dopo un fiacchissimo primo episodio diretto dal roboante nome di Kenneth Branagh (che aveva schiacciato l'adattamento con il fare shakespeariano che tutti si aspettavano da lui), ora la Marvel ha optato per un eterogeneo e folto team di mestieranti, niente star della regia e della scrittura, solo onesti operai. E' così che alla regia è stato messo Alan Taylor, già a capo di episodi di serie tv come I Soprano, Mad Men e Il trono di spade, e alla sceneggiatura un trio con esperienze di film Marvel e anche di serie tv animate a tema supereroi Marvel. Gente che conosce ogni minuzia e ogni piega del carattere dei personaggi in ballo, e si vede.

Il risultato è un film che, pur non essendo dotato del perfetto bilanciamento di tutte le componenti di Avengers (gli manca la capacità di rendere addirittura plausibili i momenti sentimentali), è contaminato da un sano umorismo unito a una voglia autoironica di non prendersi sul serio e al tempo stesso massimizzare l'idea di "intrattenimento" inteso come tutto ciò che diverte (botte, botti, bravate, battute e batticuore).

Un volta tanto si può dire senza paura di esagerare che la Marvel ha prodotto un vero cinefumetto, un film cioè che cerca nelle pieghe dell'audiovisivo la leggerezza e la capacità di appassionare ad eventi fantastici sulla base di sollecitazioni epidermiche e meccanismi eterni (fratelli in lotta, morti improvvise, tradimenti, agnizioni, svelamenti, inganni, salvataggi all'ultimo minuto e tutto il repertorio classico dell'avventura).

Insomma Thor: The dark world, al contrario del primo film, sfugge ogni idea di gravitas che in teoria andrebbe collegata ai terribili temi che affronta (lutti, fine del mondo, morte ad ogni angolo, regni in pericolo, dinastie distrutte ecc. ecc.), rendendosi conto che forse non è necessario credere fino in fondo al fatto che un Dio nordico sta cercando di salvare il pianeta assieme a un fratello malvagio con difficili rapporti paterni, basta crederci epidermicamente e magari ci si diverte di più.

Senza invadere il territorio di Iron Man, che tra tutte le "linee verticali" del grande universo che la Marvel sta componendo anche al cinema è quella più votata alla risata ma sempre attraverso un personaggio solo e il suo carisma, Thor guadagna il suo posto al sole senza puntare su un personaggio comico (come era già nel primo quello di Kat Dennings) ma lasciando esplodere di tanto in tanto della comicità con personaggi e in situazioni imprevedibili.

Perchè se c'è qualcosa che Avengers ha insegnato a questa generazione (e prima di Whedon già Spielberg l'aveva mostrato) è che proprio nel momento in cui meno è attesa la comicità suona più liberatoria.

Come si è già detto e scritto stavolta le scene dopo i titoli di coda sono due, una fa il lavoro che nella "scorsa serie" spettava a Nick Fury (preparare una storia più grande) svelando un clamoroso nuovo personaggio e l'attore che lo interpreterà, l'altra chiude per bene la storia di questo film.

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