Thirteen: la recensione

Una ragazza torna a casa dopo tredici anni di prigionia, ma le cose potrebbero non essere come sembrano: la recensione di Thirteen, miniserie della BBC

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Un rapimento, un insperato ritorno, e poi i sospetti, le verità nascoste, un incubo che non finisce. Questi gli ingredienti principali di Thirteen, miniserie in cinque parti trasmessa da BBC Three, creata da Marnie Dickens e diretta da Vanessa Caswill. Da un incipit non particolarmente originale, ma accattivante, prende il via una storia che fin dal principio suggerisce qualcosa di più, una dimensione nascosta in cui la vittima potrebbe non essere tale, in cui il gioco delle parti potrebbe essere rimesso in discussione, in cui ruoli predefiniti potrebbero essere trattati sotto una diversa luce. Una serie di condizionali che rimangono in fase embrionale, soffocando una narrazione non particolarmente brillante in un impianto che tradisce le premesse, bloccato tra dramma e thriller, che non osa e non costruisce nulla di memorabile.

Il tredici del titolo della serie si riferisce sia agli anni di prigionia cui è stata sottoposta la giovane Ivy Moxam (un'ottima Jodie Cormer), sia all'età in cui si è verificato il rapimento che l'ha tenuta lontana dalla sua famiglia per così tanto tempo. Riuscita a liberarsi, la ragazza torna a casa, inizia a ricostruire legami e frammenti di un mondo che non riconosce più. Ma l'incubo non è finito. Il rapitore porta via una nuova vittima, una bambina di 9 anni. La polizia intensifica le ricerche appoggiandosi sulla testimonianza e sulla versione di Ivy, che però non sembra raccontare tutta la verità sulla sua prigionia.

Il paragone con Room è una tentazione alla quale è necessario resistere, se non altro per i diversi obiettivi dei due prodotti. Il film candidato all'Oscar tende decisamente verso il dramma intimista, tagliando rapidamente i ponti con la prima parte e raccontandoci le difficoltà dell'adattamento ad un nuovo ambiente. La serie inglese mantiene intatti – come la sua protagonista – i legami con la prigione, vivendo con urgenza tutto il suo percorso a causa di una minaccia tutt'altro che sventata. A ciò si aggiungono derive poliziesche, per non dire completamente da thriller nell'ultimo episodio, che conducono il prodotto su altre sponde. Insomma, tanto varrebbe trascinare nel confronto anche Unbreakable Kimmy Schmidt.

Il problema maggiore di Thirteen è che rimane una promessa non mantenuta. La serie gioca su un non detto che dovrebbe sorprenderci nel momento culminante, che ci aspettiamo ci sorprenda, e invece si rivela molto più lineare e scontato di quanto pensassimo. Tutto ricade su se stesso, qualunque sottigliezza lascia il posto all'azione grossolana, ad un'esecuzione urlata e di grana grossa. L'approfondimento dei caratteri, nonostante la storia si prestasse parecchio, rimane in superficie, e quando decide di costruire qualcosa di più l'antipatia e l'incoerenza dei caratteri respingono ogni empatia. Per chi volesse recuperare un prodotto britannico su una "scomparsa" - coerente e riuscito - il consiglio è quello di avvicinarsi a The Missing.

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