They Shall Not Grow Old, la recensione
Con immagini della prima guerra mondiale modernizzate con colore e frame rate, They Shall Not Grow Old in realtà copre il vero grande racconto delle voci dei reduci
Questo è il pretesto che viene sbandierato, il ritrovato che impressiona, il lavoro che rende il documentario unico e da vedere. Guardandolo però è subito evidentemente che esistono due tipologie di immagini nel documentario: quelle d’archivio lavorate per sembrare moderne e quelle evocate dalle voci fuoricampo. A narrare sono infatti le voci e i racconti dei soldati (anch’esse materiale d’archivio) selezionate e montate assieme alle immagini per formare un lungo racconto per temi: l’arruolamento, la vita in trincea, le donne, il conflitto, la morte, il nemico e poi ancora il mangiare, la pulizia e la fine della guerra.
Ci sono momenti, sensazioni e proprio visioni ricostruite dalle voci dei soldati che sono letteralmente pazzeschi e nessuna delle immagini che le coprono è a livello. L’inerzia e la strana calma piatta senza entusiasmo della fine della guerra, la faccia e l’atteggiamento di chi era rimasto in città scoperto dai reduci al ritorno, la sensazione di esaltazione di alcuni momenti all’inizio della guerra da parte di persone che non sapevano niente, l’arruolamento senza regole di minorenni, la percezione umana del nemico, la puzza ovunque o il cameratismo. Quello che Jackson ha scelto non sono i racconti clamorosi ma l’ordinarietà di tutti i giorni, la normalità di persone comuni che niente sapevano della guerra, che avevano idee completamente fallaci rispetto a quel che gli sarebbe accaduto e che in molti casi si trovavano anche bene, tra amici, con uno scopo. E la maniera in cui le ha montate insieme è un lavoro di rammendo che ha dello stupefacente per ritmo e capacità di creare un grande racconto coerente e appassionante a partire da resoconti tutti diversi tra loro.
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