These Final Hours, la recensione

Dall'Australia un punto di vista desolato e sconfinato come le lande di Mad Max sulla fine del mondo imminente. These final hours ha una sola vera scena ma basta

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Non è infrequente nel cinema che ha passato il 2000 che si raccontino storie da "ultimo giorno del pianeta" (Last night è il primo che viene in mente, Cercasi amore per la fine del mondo il secondo), eventi racchiusi nelle poche ore che separano i personaggi da un'inevitabile fine che sanno di essere sul punto di arrivare e che condiziona tutto il mondo intorno a loro. Sono dei road movie attraverso un caotico ammasso di freak che possono essere guardati nei loro tratti più grotteschi (come per Steve Carrell e Keira Knightley) o visti assecondando la prefigurazione della tragedia interiore che muove le loro decisioni. These final hours è così che sceglie di seguire il suo personaggio in cerca di una redenzione fuori tempo massimo all'ultimo secondo prima di bruciare in una Terra civilizzata ma che sembra desolata come le lande di Mad Max.

Non importa molto in These final hours il motivo che sta per fare finire la vita sulla Terra come la conosciamo, il movimento furioso del protagonista è scatenato a partire da una presa di coscienza (si alza dal letto con una decisione in testa) e procede assieme ad una bambina incontrata casualmente per dimostrare di poter adempiere a dei doveri. Almeno una volta nella sua vita.

Si poteva di certo fare di meglio dal punto di vista della morale (se proprio dobbiamo infilarcene una) ma non è così si guarda un film "ultimo giorno del pianeta", lo si guarda per la disperazione dello scenario, per la foga dei protagonisti, per come mette in relazione l'idea di essere in procinto di finire di vivere assieme a tutto il resto delle persone che si conoscono o si sono conosciute, sapendo la data di scadenza della propria permanenza sul mondo. Lo si giudica per la maniera in cui mette i propri personaggi (specialmente quelli secondari) di fronte all'idea più intollerabile di tutte la fine propria e della propria specie.

Zak Hilditch dall'Australia perde molto tempo all'inizio e alla fine, indugia sulle componenti più spettacolari (salvare la propria vita dalle persone che sono impazzite all'idea di morire) per dare il ritmo dei film d'azione ad un'opera che non lo è assolutamente, e alla fine sembra aver centrato completamente l'idea del suo stesso film unicamente nella grande scena della festa. Non a caso l'unico momento in cui l'individualismo è messo da parte per una visione collettiva.
In quel party c'è una disperazione gioiosa, un'ostentata felicità unita al flirt continuo con l'eccesso che subito superano i confini del tema trattato per rappresentare molto altro. Se ha un senso questo genere è proprio quello di mettere in scena parte delle ossessioni che viviamo con il pretesto che sia la fine del mondo a scatenarle, in quella festa dunque si trova qualcosa di non troppo diverso dalla follia insurrezionale di Project X, un generico darsi alla pazza gioia per nulla convinto ma non di meno eccessivo, in cui necessariamente il divertimento deve avvicinarsi al desiderio di morte o quantomeno di repentaglio della vita.

Continua a leggere su BadTaste