The Witness, la recensione

L’isola di Jonathan Blow vi aspetta: la recensione di The Witness

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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L’isola di The Witness è un po’ come quella di Lost: non spiega, parla pochissimo, ce la mette tutta per disorientarvi, alienarvi, persino umiliarvi. Eppure, allo stesso tempo, è naturalisticamente parlando meravigliosa, densa di fascino, addirittura attraente. Un po’ come accaduto con Myst, eoni fa ormai, il piacere della scoperta diventa un bisogno fisiologico, una sfida in grado di coinvolgere ogni senso, spingendovi, quasi irrazionalmente, a non cedere, pur di ottenere e meritare la verità rivelata. Anche The Journey, senza stare a scomodare il solito Shadow of the Colossus, pretendeva un genuino atto di fede, un viaggio senza ritorno in direzione di un traguardo indefinito, incerto, sicuramente astratto. Il paragone con il piccolo capolavoro di Thatgamecompany non è valido esclusivamente sul piano emozionale: anche nell’opera di Jonathan Blow, già fautore di Braid, c’è una montagna, tutta da scalare, che in qualche modo rappresenta la meta, l’approdo ultimo di un faticoso e complesso pellegrinaggio.

The Witness è un’ordalia, un complicato e mutevole rito di passaggio che intende testare, ad ogni passo, il vigore dello spirito e la brillantezza della vostra materia grigia. Dopo un breve preambolo, utile per farvi entrare in sintonia con le meccaniche ludiche basilari che governano l’intera opera, l’isola di dischiuderà di fronte ai vostri occhi, pronta, sin da subito, ad essere attraversata in lungo e largo. I suoi deserti, i boschi verdeggianti, le placide spiagge accarezzate da un oceano sconfinato quanto immobile e la cima innevata che domina il territorio creano una ricchezza paesaggistica (con)turbante. Bastano pochi passi per attraversare idealmente centinaia di chilometri, per lasciarsi alle spalle l’arsura di un canyon, immergendosi nei giochi di luce e ombra di una pineta. Anche la presenza umana, o per meglio dire l’artificiale visto che non incontrerete alcun personaggio per tutta l’avventura, segue di pari passo la continua variazione dello scenario: rovine egizie, lasciano il posto a castelli, bunker, cottage immersi nel verde.

[caption id="attachment_150246" align="aligncenter" width="508"]The Witness screenshot 1 Nonostante costruzioni e documenti comprovino la presenza di altri esseri umani, sembrano tutti misteriosamente scomparsi. Sarete i soli ad aggirarvi per gli splendidi scorci dell’isola.[/caption]

In questi scorci faustiani, che tentano quasi di riassumere e concentrare l’intera storia dell’umanità e del pianeta che la ospita, c’è un'unica costante: futuristici pannelli con cui interagire per attivare meccanismi e aprire porte. Sono gli enigmi veri e propri, ce ne sono seicento sparsi per tutta l’isola, e si basano tutti su un concetto fondamentale: tracciare una linea che, scegliendo tra le biforcazioni presenti, raggiunga il traguardo. Un formula basilare come i labirinti che con carta e penna ci divertivamo a costruire e risolvere da bambini, che viene modificata e declinata in ogni modo possibile. Tra giochi prospettici e simmetrie, vi accorgerete come quasi nulla, nemmeno nella natura che vi circonda, sia del tutto casuale. Spesso la soluzione, la chiave stessa per comprendere l’enigma, è nascosta tra le fronde di un albero o nell’immagine riflessa sull’oceano di un masso. A volte vi toccherà persino attraversare lo scenario e risolvere altri puzzle prima di ottenere un indizio, un suggerimento indispensabile per proseguire nella missione.

"Capire la logica che governa una serie di rompicapo è parte integrante delle difficoltà da superare, un muro, a volte difficilmente sormontabile"

Inevitabile, prima o poi, scontrarsi con il cinismo dell’isola. Non ci sarà niente e nessuno ad aiutarvi. Capire la logica che governa una serie di rompicapo è parte integrante delle difficoltà da superare, un muro, a volte difficilmente sormontabile, che potrebbe far desistere anzitempo qualche videogiocatore frustrato dal modo criptico con cui vengono introdotti i vari ostacoli. Anche a questo serve la natura open-world: a mitigare, almeno in linea teorica, l’eccessiva macchinosità di alcuni pannelli. I panorami che circondano il misterioso avatar di cui vestirete i panni sembreranno spesso suggerire di prenderci una pausa di tanto in tanto, di fare due passi per rilassare le meningi. Si potrà sempre riprovare più tardi, magari dopo aver recuperato un po’ di autostima aprendo qualche porta o innescando qualche meccanismo in un’altra zona dell’isola.

[caption id="attachment_150249" align="aligncenter" width="508"]The Witness screenshot 2 Non ci sarà alcun brano o jingle ad accompagnare l’esplorazione dell’isola. Una scelta coraggiosa, ma che non fa altro che rafforzare ancor di più il legame tra voi e l’ambientazione.[/caption]

L’impressione che si ha di The Witness è che nulla sia lasciato al caso. A fronte di tante produzioni che annegano il videogiocatore in gigantesche mappe vuote e ridondanti, Jonathan Blow ha scelto l’essenzialità, la funzionalità di ogni dettaglio come fonte di ispirazione, in un modo o nell’altro, per la risoluzione dei puzzle. L’isola stessa è dunque un immenso enigma che affascina con la sua bellezza strabordante, con il suo toon-shading che dipinge un mondo dai contorni sfumati, e confonde con il minimalismo grafico dei pannelli fatti di linee geometriche semplici e colori primari.

Difficile consigliare questo gioco indiscriminatamente. Impossibile non dargli almeno una chance. Siamo di fronte ad un titolo quasi unico nel suo genere, certamente sviluppato con attenzione per i dettagli e impreziosito da un art design senza mezzi termini stupefacente. Anche sulla qualità degli enigmi proposti c’è poco da criticare: le idee geniali partorite dal team creativo si sprecano e sono in grado di mettere in difficoltà anche chi è solito intrattenersi con quiz di logica. L’assenza di una vera e propria trama e l’alto impegno preteso per la risoluzione dei rompicapo, tuttavia, potrebbero rivelarsi due caratteristiche fatali per la creazione di quella sinergia necessaria per accettare i sacrifici richiesti dall’isola nello svelamento del suo mistero ultimo. Chi sarà disposto a scendere a compromessi con la filosofia alla base di quest’opera, chi, per indole, è incline a un certo tipo di esperienza, si addentrerà in un’avventura che, un po’ come seppero fare Journey e Myst, sarà perfino in grado di arricchire interiormente l’utente in grado di completare l’ordalia.

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