The Witcher (stagione 3, Parte 1): la recensione
The Witcher trova finalmente la sua strada dopo due stagioni zoppicanti, ma purtroppo lo fa quando ormai è troppo tardi
The Witcher, la recensione della Parte 1 della stagione 3, disponibile su Netflix
Il ritorno nel Continente
La terza stagione (che esce spezzata in due tronconi, il secondo dei quali uscirà a luglio e comprenderà solo tre episodi, offrendo quindi già abbastanza materiale per farsi un'idea) non è questo miracolo, ma è la cosa che più ci si avvicina: un deciso passo avanti sotto tutti i punti di vista rispetto alle due precedenti, e soprattutto da quello del ritmo. È finito il tempo degli spiegoni: il Continente non è più una scacchiera dove ogni pedina si muove solo quando serve e non prima di averci riflettuto a lungo. È un campo di battaglia, quello peraltro che ci veniva promesso fin dai primi episodi, e coinvolge talmente tante parti in movimento da sfiorare i confini del caos organizzato. In questo almeno l’eredità della serie di Benioff e Weiss è evidente: The Witcher è diventata una serie corale, nella quale ogni storyline ha (più o meno) uguale dignità, e la terza stagione gestisce alla perfezione questa nuova sfida.
Anche perché al centro di tutto quanto c’è il buco nero (o biondo) verso il quale tutto converge: The Witcher è ufficialmente diventata la storia di Ciri prima di tutto, e della gente che vuole proteggerla (o ammazzarla, o rapirla, o sposarla) poi. Questo aiuta a non perdersi tra le mille motivazioni e ambizioni che animano ogni singolo personaggio: alla fine si ritorna sempre a Ciri, e (quasi) ogni azione è motivata dal desiderio di mettere le mani su di lei, o di impedire a gente malintenzionata di mettere le mani su di lei.
Meno distrazioni dalla storia dei protagonisti
Costruendo tutti i suoi intrighi, misteri e tradimenti intorno a Ciri, The Witcher elimina tutte quelle storie di contorno che nelle prime due stagioni servivano a caratterizzare il mondo o uno dei personaggi, ma che finivano per appesantire la narrazione e trasmettere anche una certa confusione. La storia tira dritta fin dal primo minuto, caricando a testa bassa la solita (e sempre apprezzata) congerie di mostri, maghi, assassini e soldati. Il cast, ormai a suo agio nei propri personaggi, contribuisce a trascinarci dentro la storia: Freya Allan e Anya Chalotra, che passano gran parte del tempo insieme, hanno una meravigliosa alchimia, Joey Batey si è ormai trasformato in Jaskier e Henry Cavill (che forse parla addirittura meno del solito) grugnisce, lancia sguardi torvi, mena e tira fendenti come se non volesse fare altro nella vita – ed è qui che casca Roach.
È chiaro, guardando la terza stagione di The Witcher, che le persone coinvolte, Henry Cavill su tutti, avevano una gran voglia di andare avanti, e magari di avere ancora più libertà e opportunità di esplorare il canone. Ed è altrettanto chiaro che la sostituzione di Geralt con Liam Hemsworth tradisce problemi profondi di compatibilità tra la produzione e quello che voleva essere non solo il protagonista, ma anche in qualche modo lo showrunner della serie. The Witcher ha forse rischiato anche la cancellazione: tirerà invece avanti, ma sarà costretta a reinventarsi. È una sfida, ma è soprattutto un peccato.
Lo è perché questa terza stagione dimostra – al netto degli ultimi tre episodi che ancora non abbiamo visto e che usciranno a luglio, ma che difficilmente potranno cambiare in modo radicale il nostro giudizio – che The Witcher secondo Cavill aveva trovato la sua strada e una quadra. Che dopo tre stagioni era pronta a spiccare il volo. Magari succederà lo stesso nonostante Geralt stia per cambiare volto, ma a Henry Cavill rimarrà sempre il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e non sarà – e noi ci uniamo a lui, perché comunque vadano le cose resterà uno Witcher indimenticabile, nel bene e nel male.
https://www.youtube.com/watch?v=t9OJahCXdSY