The Witcher (stagione 3, Parte 1): la recensione

The Witcher trova finalmente la sua strada dopo due stagioni zoppicanti, ma purtroppo lo fa quando ormai è troppo tardi

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The Witcher, la recensione della Parte 1 della stagione 3, disponibile su Netflix

È quasi un peccato che The Witcher abbia finalmente trovato la sua strada, perché è troppo tardi. Quello che è successo con le prime due stagioni lo sapete: contenevano tanti buoni spunti, alcuni personaggi azzeccati a partire dal protagonista, molta passione per la fonte letteraria, ma anche tanta confusione, generata tra l’altro dalla necessità di spiegare troppe cose in troppo poco tempo. Chi conosceva i romanzi di Sapkowski, ma anche solo chi aveva scoperto The Witcher grazie ai videogiochi, sapeva già dall’inizio che la serie Netflix avrebbe avuto bisogno di tempo per crescere e convincere. Che c’erano troppe cose, troppi nomi, troppi eventi in ballo fin dall’inizio per sperare che la serie diventasse la nuova Game of Thrones dal giorno 1. Sarebbe servito un miracolo, che nei primi 16 episodi di The Witcher si poteva solo intuire.

Il ritorno nel Continente

La terza stagione (che esce spezzata in due tronconi, il secondo dei quali uscirà a luglio e comprenderà solo tre episodi, offrendo quindi già abbastanza materiale per farsi un'idea) non è questo miracolo, ma è la cosa che più ci si avvicina: un deciso passo avanti sotto tutti i punti di vista rispetto alle due precedenti, e soprattutto da quello del ritmo. È finito il tempo degli spiegoni: il Continente non è più una scacchiera dove ogni pedina si muove solo quando serve e non prima di averci riflettuto a lungo. È un campo di battaglia, quello peraltro che ci veniva promesso fin dai primi episodi, e coinvolge talmente tante parti in movimento da sfiorare i confini del caos organizzato. In questo almeno l’eredità della serie di Benioff e Weiss è evidente: The Witcher è diventata una serie corale, nella quale ogni storyline ha (più o meno) uguale dignità, e la terza stagione gestisce alla perfezione questa nuova sfida.

Anche perché al centro di tutto quanto c’è il buco nero (o biondo) verso il quale tutto converge: The Witcher è ufficialmente diventata la storia di Ciri prima di tutto, e della gente che vuole proteggerla (o ammazzarla, o rapirla, o sposarla) poi. Questo aiuta a non perdersi tra le mille motivazioni e ambizioni che animano ogni singolo personaggio: alla fine si ritorna sempre a Ciri, e (quasi) ogni azione è motivata dal desiderio di mettere le mani su di lei, o di impedire a gente malintenzionata di mettere le mani su di lei.

Meno distrazioni dalla storia dei protagonisti

Costruendo tutti i suoi intrighi, misteri e tradimenti intorno a Ciri, The Witcher elimina tutte quelle storie di contorno che nelle prime due stagioni servivano a caratterizzare il mondo o uno dei personaggi, ma che finivano per appesantire la narrazione e trasmettere anche una certa confusione. La storia tira dritta fin dal primo minuto, caricando a testa bassa la solita (e sempre apprezzata) congerie di mostri, maghi, assassini e soldati. Il cast, ormai a suo agio nei propri personaggi, contribuisce a trascinarci dentro la storia: Freya Allan e Anya Chalotra, che passano gran parte del tempo insieme, hanno una meravigliosa alchimia, Joey Batey si è ormai trasformato in Jaskier e Henry Cavill (che forse parla addirittura meno del solito) grugnisce, lancia sguardi torvi, mena e tira fendenti come se non volesse fare altro nella vita – ed è qui che casca Roach.

È chiaro, guardando la terza stagione di The Witcher, che le persone coinvolte, Henry Cavill su tutti, avevano una gran voglia di andare avanti, e magari di avere ancora più libertà e opportunità di esplorare il canone. Ed è altrettanto chiaro che la sostituzione di Geralt con Liam Hemsworth tradisce problemi profondi di compatibilità tra la produzione e quello che voleva essere non solo il protagonista, ma anche in qualche modo lo showrunner della serie. The Witcher ha forse rischiato anche la cancellazione: tirerà invece avanti, ma sarà costretta a reinventarsi. È una sfida, ma è soprattutto un peccato.

Lo è perché questa terza stagione dimostra – al netto degli ultimi tre episodi che ancora non abbiamo visto e che usciranno a luglio, ma che difficilmente potranno cambiare in modo radicale il nostro giudizio – che The Witcher secondo Cavill aveva trovato la sua strada e una quadra. Che dopo tre stagioni era pronta a spiccare il volo. Magari succederà lo stesso nonostante Geralt stia per cambiare volto, ma a Henry Cavill rimarrà sempre il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e non sarà – e noi ci uniamo a lui, perché comunque vadano le cose resterà uno Witcher indimenticabile, nel bene e nel male.

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