The Witcher (seconda stagione): la recensione

The Witcher, la seconda stagione della serie Netflix risolve quasi tutti i problemi della prima e mette finalmente in moto la storia: c’è speranza per il futuro del Continente

Condividi
Lasciateci cominciare questa recensione della seconda stagione di The Witcher con una metafora calcistica che non ha nulla a che fare con la serie Netflix se non per il fatto che il protagonista è stato inventato da un autore della stessa nazionalità del più forte centravanti del mondo.
La metafora è questa: se il primo tiro della partita lo spari in tribuna, con il secondo ti basta centrare lo specchio per beccarti qualche applauso. La prima stagione di The Witcher non era esattamente una palla in curva, più che altro un tiro moscio a fil di palo; ma gran parte del fandom, e anche della gente che ha scoperto il franchise per la prima volta con la serie, l’ha percepita come tale. Troppe timeline sovrapposte e non chiaramente identificabili, effetti visivi spesso rivedibili, troppi personaggi dei quali si faceva a meno, soprattutto troppa verticalità e la sensazione che lo show stesse ancora brancolando nel buio in cerca di una direzione o quantomeno di un vago suggerimento.

LEGGI: The Witcher, 10 suggerimenti per i prossimi spin-off

LEGGI: The Witcher: cosa aspettarsi dalla seconda stagione

La seconda stagione di The Witcher, come vi raccontavamo nel nostro speciale, sembra fatta apposta per rispondere a tutte queste obiezioni. Non è un perfetto bolide all’incrocio, è più che altro un tiro a giro che punta al sette ma finisce in quella zona di mezzo che sta il capolavoro e la conclusione centrale; ma siccome la concorrenza, cioè il portiere, in questo momento è, se va bene, La ruota del tempo, questi nuovi otto episodi si accomodano facilmente in fondo al sacco, e sanciscono la temporanea supremazia di Geralt di Rivia su tutti i potenziali rivali.

La Fra

Fine della metafora calcistica. Parliamo della stagione: si intitola The Witcher, ma potrebbe chiamarsi The Witcher and Ciri, o direttamente Ciri. Stabilita con la prima stagione l’ambientazione, i personaggi e soprattutto i rapporti di potere e gli obiettivi di ognuna delle parti in causa, la serie creata da Lauren Schmidt Hissrich comincia a fare finalmente quello che aspettavamo con ansia: muovere le pedine e farci vedere la scacchiera. Il fatto che ruoti tutto intorno a una singola persona teoricamente indifesa non inganni: il quadro politico del Continente è complesso, e finalmente a fuoco, e nel corso della stagione c’è modo di visitarne ogni angolo, e di apprezzare una visione d’insieme molto più facile da comprendere, e quindi da apprezzare.

Ci sono una serie di donne intorno alle quali ruota tutto, ciascuna in posizione privilegiata per controllare e influenzare le sorti della guerra. C’è Yennefer, ovviamente, che però si ritaglia un ruolo relativamente minore per ragioni che comprenderete presto. C’è Fringilla, la traditrice o presunta tale (lei direbbe che stava solo eseguendo gli ordini), e il suo rapporto sia con l’ex compagna di studi, sia con la new entry Francesca Findabar, elfa e maga, che reintroduce nel quadro il suo popolo in una maniera decisamente più dignitosa e interessante di come li avevamo conosciuti nella prima stagione. Ci sono figure più misteriose e indecifrabili, che faranno scattare il radar di chi conosce i romanzi ma che per ora restano in secondo piano in attesa del loro turno: una su tutte Lydia, la cui presenza vi riveliamo perché era già nota da tempo.

Yennefer

È questo nutrito cast femminile a fare in un modo o nell’altro da motore per tutta la vicenda; loro e la guerra in corso, ovviamente. E ovviamente i loro destini dipendono tutti più o meno direttamente da quello di Cirilla di Cintra. Chi sia e cosa rappresenti per il destino dell’intero universo è il grande mistero della stagione, che (non) scoprirete sul finale. Come si arrivi a queste risposte, o non-risposte, è il succo di questi otto episodi. È una fortuna che Freya Allan sia la scelta di casting più azzeccata in una serie fantasy dai tempi di Peter Dinklage nel Trono di spade (o forse dai tempi di Henry Cavill in The Witcher): gran parte dell’impatto della stagione si poggia sulle sue spalle e soprattutto sui suoi occhi, e se l’idea era di regalarci un personaggio semi-onnipotente e al contempo vulnerabile e da proteggere a tutti i costi, anche dal divano di casa, possiamo affermare senza tema di smentita che il risultato è stato raggiunto.

La centralità di Ciri comporta anche che la seconda stagione di The Witcher rinuncia in parte alla verticalità della prima per costruire una narrazione più orizzontale e organica, questa volta influenzata sì dal Trono di spade. Non mancano, soprattutto nella prima metà, gli episodi-bottiglia, quelli con il monster of the week, che in un paio di casi ammiccano anche alla mitologia, alle fiabe e a certi trope che ci sono ben noti. Ma la tendenza è quella al flusso di coscienza, al racconto che non frena perché ha raggiunto la fine dell’episodio ma anzi è felice di lasciare in sospeso le cose – costringendoci al famigerato “solo un’altra poi spengo”.

Geralt Ciri

Aiuta, e molto, il fatto che tutto il comparto tecnico abbia fatto passi da gigante rispetto alla prima stagione – ancora una volta, un grande classico delle serie, soprattutto fantasy e fantascienza. Non sappiamo dire se ci siano più mostri (non abbiamo contato), ma di sicuro sono più belli; Geralt combatte meno rispetto alla prima stagione, ma lo fa sempre in sequenze ben girate e ben coreografate, qualcosa che la stagione precedente era riuscita a fare solo al suo primo tentativo. C’è, e questo probabilmente è merito di quel nerd di Henry Cavill, molta più attenzione a quello che distingue uno Witcher da un bravo spadaccino: Geralt usa i segni, le pozioni, tutte quelle cose che fanno saltare di gioia chi conosce il franchise per via dei videogiochi. Fate attenzione durante certi combattimenti, soprattutto negli ultimi episodi: certi salti, certe piroette, certe mosse sono prese di peso dalle animazioni del gioco di CDProjekt Red, e noi non possiamo che applaudire la scelta, perché non è solo fan service (a proposito di fan service: Kaer Morhen un po’ lo è, ma ancora una volta va bene così), ma anche puro spettacolo.

Tutto perfetto, dunque? Circa, forse, in realtà no. Non tutti gli episodi e non tutte le storyline hanno lo stesso impatto, e ogni tanto c’è il rischio di ritrovarsi a pensare “uff, quand’è che molliamo [Personaggio che funziona meno] e torniamo a [Personaggio che funziona di più]?”. La passione per il buio pesto rimane, e rovina un po’ un paio di scene che avrebbero potuto avere altrettanto impatto. Jaskier ritorna in tutto il suo splendore, e se avevate dei dubbi sul personaggio nella prima stagione preparatevi a ritirarli fuori, intatti: alterna momenti in cui sembra che sia fondamentale per l’equilibrio della storia ad altri in cui si chiede come mai esista, e se The Witcher non sarebbe meglio senza di lui.

The Witcher Ciri

E la grande attenzione alla mitologia, al canon, alla lore, chiamatela come volete, ammazza ogni tanto l’impatto emotivo del racconto. La seconda stagione di The Witcher si preoccupa in continuazione di non lasciare indietro nessuno: spiega, rispiega, approfondisce, mostra la questione da tre o quattro punti di vista diversi. In futuro auspichiamo una via di mezzo tra l’impenetrabilità di certi passaggi della prima stagione e il didascalismo della seconda: The Witcher ha finalmente trovato il suo ritmo, per quanto riguarda l'equilibrio ci stiamo ancora lavorando.

Abbiamo parlato di futuro: ne riparleremo nei prossimi giorni, ma per ora lasciateci dire che ci sarà. Pur nella sua imperfezione e ricerca di un’identità definitiva, questa seconda stagione certifica che The Witcher non è una serie di passaggio ed è qui per restare [ovviamente, se la dovessero cancellare tra una settimana non prendetevela con noi, nda]; che ha un mondo e una storia da raccontare. È ancora una richiesta di tempo, come lo era la prima stagione; ma lì chi aveva deciso di dare fiducia a Netflix l’ha fatto sulla scorta di un paio di spunti promettenti e dell’esistenza di Henry Cavill. La seconda stagione ha invece motivazioni molto più solide dietro la sua richiesta, una cartelletta spessa così dalla copertina della quale Freya Allan vi guarda con i suoi occhi di stella (lo dicono nella serie, non ce lo siamo inventati noi) e vi chiede di continuare a seguirla, perché qui tra un paio d’anni al massimo si spacca tutto. Così dice Cirilla di Cintra: noi ci fidiamo ciecamente.

Continua a leggere su BadTaste