The Whale, la recensione

The Whale è Brendan Fraser. La performance della vita per l'attore in un film con così tanto cuore da superare anche i difetti

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Come The Wrestler anche The Whale racconta di uomini che vogliono riappropriarsi della propria fine. A un passo dalla morte a cui sono costretti dal loro fisico così diverso e mostruoso, iniziano a esistere rinascendo per la prima volta dopo molto tempo. Così dopo il Randy Robinson di Mickey Rourke, arriva Charlie, di Brendan Fraser. Un uomo obeso, di oltre 250 kg, in pericolo di vita. 

È assistito nei bisogni quotidiani da Liz, un’infermiera a lui legata. L’unica possibilità di salvezza è andare in ospedale il prima possibile ed entrare in cura o da lì ad una settimana il cuore cederà. Così inizia un film fatto di case, mobili e un uomo così grande che si fonde con l’ambiente stesso. La solitudine è solo intima, in una casa che in realtà è sempre affollata. Bussano continuamente alla porta: il delivery di cibo; Thomas un ragazzo evangelizzatore con il disperato bisogno di aiutare il prossimo, e la figlia Ellie. Eppure a Charlie non basta vedere ombre alla finestra per colmare il suo vuoto: perdonare gli altri per poter perdonare se stesso.

È come se Darren Aronofsky avesse deciso di adattare la piece teatrale di Samuel D. Hunter solo dopo aver scoperto Brendan Fraser. Sotto un’imponente trucco, non sempre perfetto, gli occhi dolci dell’attore rendono Charlie un personaggio fragile mai vittima o vittimistico. Perfetto per come passa da un estremo all'altro senza essere mai istrionico. Il suo Charlie è infatti una persona colta, autoironica e sempre presente a se stessa, eppure disperatissima.

La forma che prende il film è esattamente quella del suo personaggio, a partire dai 4:3 dello schermo che costringono la macchina da presa a non affiancargli mai nessuno. È così grosso da riempire per intero l’inquadratura, gli altri possono stare solo dietro o davanti a lui. Mai di fianco. Nelle immagini e nella vita. Solo una persona gli fu letteralmente abbracciato accanto.

The Whale è quindi anche un film magniloquente, che promette emozioni facili ed estreme sin dai primi minuti: una lacrima per ogni risata, come in un film Pixar. La regia riprende con il linguaggio di un cartone animato per adulti (a tratti sembra Mary and Max) in cui ogni movimento, anche il più piccolo, conta. Basta una chiave in terra o una webcam spenta per creare tensione. Così è la vita di Charlie: piena di ostacoli, di incertezze, in cui anche il gesto più semplice richiede uno sforzo incredibile.

Se il protagonista è perfettamente riuscito, e scommettiamo che proietterà Brendan Fraser verso un meritato Oscar, meno è il suo intreccio con gli altri personaggi. Si creano simmetrie non necessarie tra chi entra in quella casa. In particolare l’esperienza del missionario Thomas risulta artificiale, e scritta solo per creare un parallelo emotivo che aggiunge retorica a un film già pieno di buoni sentimenti. Sadie Sink, che nel film ha una somiglianza straordinaria con Fraser, funziona di più come Ellie, figlia arrabbiata e per nulla intenerita. Anche le scelte che farà, e l’importante colpo di scena che genererà, hanno un sapore teatrale e zuccheroso che fa uscire di strada il film.

Però The Whale è un film che pretende di andare a 200 all’ora sulle emozioni. Quando si va a quella velocità è normale sbagliare qualche curva. Se quindi non tutto fila liscio sul piano della trama, è impossibile non capitolare emotivamente. Aronofsky ha fatto infatti il suo film più tenero ed emozionante. Una storia sulla compassione verso gli altri e verso se stessi.

Un dramma da camera che inizia e finisce come potrebbe fare una fiaba di Tim Burton. Prende per mano lo spettatore e lo porta su una giostra emotiva assoluta in cui ogni oggetto conta, ogni parola detta viene recepita solo se pronunciata con sincerità. È l’onestà intellettuale che Charlie chiede ai suoi studenti. Contro ogni perbenismo che non resta, ciò che uno ha dentro -giusto o offensivo che sia- va tirato fuori, non tenuto dentro indigesto.

Così The Whale è un film imperfetto dal cuore immenso come il suo protagonista, che è facile da amare e a cui è giusto abbandonarsi. Sotto l’enorme pelle i dispositivi medici cercano di conoscere il paziente, monitorare le sue emozioni invano. Brendan Fraser lo comunica con gli occhi e con le sue mani morbide e goffe. Quando l’anima di un personaggio esce così dal corpo del suo attore non conta più la bellezza formale, conta il cuore che batte. 

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