The Watchers, la recensione
La recensione di The Watchers, il thriller / horror di Ishana Shyamalan con Dakota Fanning, al cinema dal 6 giugno
La recensione di The Watchers, il film con Dakota Fanning in sala dal 6 giugno.
È difficile non pensarci mentre si guarda Dakota Fanning interpretare una ragazza che prende una delle peggiori decisioni della sua vita, addentrandosi in un “bosco metaforico”, quel tipo di luoghi in cui accadono cose che ci è ben chiaro essere lì per fare da metafora ad altro. E quindi non importa se hanno scarso senso o scarsa plausibilità... tanto sono metaforiche. Nel caso specifico, quel bosco da cui non si esce è pieno di creature; ci sono altre persone lì che si rinchiudono ogni notte in una costruzione, una casetta con una parete di vetro. Da dentro non si vede fuori, da fuori si vede dentro. E proprio il guardare gli umani è ciò che placa le creature. Una valanga di altri simboli (gabbie, riflessi, uccellini, un lago, una barca, i video, ecc.) popoleranno poi il film. Vale la pena precisare che molte delle scene di paura sono recitate davanti a quella parete di vetro che da dentro è uno specchio, cioè i personaggi in realtà guardano se stessi.
Lungo tutto il tempo e specialmente nel lungo e articolato finale, ancora una volta, non c’è niente di quello che aveva reso nota Dakota Fanning: recita assecondando ogni possibile convenzione, in armonia con un film che, al netto della particolarità del proprio spunto (è tratto da un romanzo), sceglie sempre la strada più rituale, convenzionale e abituale. E al netto delle grandi metafore (che più grandi sono, più sono generiche, e più generiche sono, meno dicono qualcosa che possa essere vero per qualcuno da qualche parte) è questo il vero problema del film: non trovare mai una maniera di avere personalità.