The War - Il Pianeta delle Scimmie: la recensione
La rinnovata saga di Planet of the Apes sta per giungere a conclusione con The War - Il Pianeta delle Scimmie: ecco la nostra recensione
Ma, forse, è proprio questo il suo maggiore punto di forza. Soldati e battaglie sono il sottofondo di un contesto che lo spettatore già conosce o che può apprendere nelle poche righe del prologo. Il terzo capitolo della saga di Cesare è un’efficace parabola che parte in open world, tra grandi spazi nei quali cavalcare, andando lentamente a chiudersi in anfratti e pertugi sempre più angusti, pronti a ricordare al pubblico quanto sia importante la libertà.
La carne al fuoco è davvero tanta e Matt Reeves, che ha poco più di due ore, fa quindi più che bene a incasellare un gran numero di riferimenti - molti dei quali smaccatamente biblici - in una trama opportunamente semplice e lineare. Anche perché il suo film scomoda più o meno tutto: crocifissioni, flagellazioni, l’esodo di un popolo eletto e persino una sequenza che ricorda Ben-Hur, nella quale viene dato da bere a chi sta morendo di sete.
Tra le peculiarità del film di Reeves c’è un primo atto silenzioso che fa grande affidamento sulla narrazione ambientale. In un film di poche parole e molti sguardi, ciò che gli umani scrivono sui loro elmetti e su ciò che resta del loro mondo racconta una specie fatta di reduci ancora in guerra e di combattenti inespressivi. A Reeves, in sostanza, non interessiamo più granché come uomini: siamo il residuo secco di chi non è riuscito a trovare una sintesi capace di trasformare una specie in una civiltà. Chi è diverso, non a caso, non possiede l’uso della parola e si chiede se debba essere etichettato come umano o come primate.
La seconda parte, nella quale Reeves sguinzaglia il sottobosco di trame e sottotrame generate dalla genialità e dalla disperazione dei primati, è letteralmente un diluvio di contenuti condensati e compressi: rabbia, dubbio, vendetta, annullamento, redenzione si alternano in un vortice impazzito come se il secondo atto avesse “assorbito” un quarto film. La soddisfazione nel vedere il tono generale cambiare registro è molta. Tutto decolla spontaneamente in ritmo rassicurando il pubblico: la terza impresa di Cesare sarà sì una parabola, ma anche un’epopea di buoni e di cattivi.
A Reeves, ancora una volta, non interessa mostrare quanto sia sporca la guerra: con una carrellata a volo d’uccello sulla battaglia iniziale si libera della necessità di ricordarci quanto tutto sia già andato in malora. Dove centra pienamente il bersaglio è proprio nel ricucire quel delicatissimo filo che lega le sue scimmie a ciò che vorrebbe che fosse la razza umana: una specie terribilmente emotiva che, all’occorrenza, sa imbrigliare i propri demoni e sopravvivere a se stessa.