Nell’ultimo decennio
The Walking Dead è il fumetto americano che più di ogni altro ha viziato i propri lettori. Tra la sempre più affollata offerta
mainstream, figlia di continui rilanci e mega-eventi, questa serie può essere definita come la mosca bianca a cui affidarsi per un intrattenimento di alto livello privo di sensazionalismi. Grazie a una qualità costante e ad una continuità artistica ormai da record, la creatura di
Robert Kirkman e
Tony Moore (passata ormai da tempo sotto l'abile matita di
Charlie Adlard) è praticamente un’istituzione nel
comicdom e il suo successo multimediale ha addirittura innescato un processo di rinnovamento di tutta la
Image. Ma
The Walking Dead prima che vessillo degli autori indipendenti è principalmente un ottimo fumetto horror, la cui corsa sembra non conoscere intoppi. La vera anima del cambiamento è quindi da ricercare nelle anomale pagine in bianco e nero (con toni di grigio) che di tanto in tanto fanno capolino in fumetteria, nei pregevoli volumi
SaldaPress.
…Stavo ignorando la cosa più importante del vivere in questo mondo. La collettività.
Dopo la battaglia coi predoni e la conseguente invasione dei vaganti, ad Alexandria è tempo di leccarsi le ferite ma anche di razionalizzare. Rick è diviso tra l’assistere Carl-con-un-buco-nella-testa, vittima di una pallottola vagante (pure lei), e i doveri di leader della cittadina. Per la prima volta dopo qualche tempo c’è infatti un po’ di respiro e l’occasione di progettare un futuro sereno tra mura più resistenti e fossati. Con qualche lavoro ben fatto, il giusto addestramento e molta fortuna si potrà tirare a campare per i prossimi vent’anni. Sempre che le minacce non crescano in seno alla comunità.
È strano che all’improvviso ci sia lui al comando.
Come i migliori noir, il quindicesimo volume di
The Walking Dead regala una piccola luce a cui affezionarsi pur sapendo che sarà presto annichilita da una nuova forma di buio. Proprio come i personaggi tridimensionali delineati dal fine psicologo Kirkman, non possiamo fare a meno di sperare in Rick, calato nei panni del
governatore illuminato di questa “Woodbury alternativa” (più simile a quella del serial tv, a dire il vero).
Funzionerà.
La serie non è nuova a clamorosi depistaggi e questo rende la lettura ansiogena anche nelle scene più innocue: quelle, per intenderci, dove non viene fatto a pezzi nessuno ma avvengono crolli emotivi ed esplosioni di rabbia incontrollate. Il mondo là fuori di TWD è ormai talmente consolidato nelle nostre menti da poterlo percepire come un sottofondo costante durante la lettura: lo sentiamo premere sulle barricate, bramoso degli ultimi pezzi sani dei nostri cari personaggi, temporaneamente occupati a psicanalizzarsi.
Il blocco di storie che compone Ritrovarsi permette a Kirkman di fare il punto della situazione e tornare a tessere la ragnatela di rapporti umani che da sempre è la vera forza della serie, caratteristica che forse era venuta meno nella manciata di storie precedenti. Se proprio vogliamo trovare delle falle in questo volume, possiamo prendercela con Charlie Adlard che, non mollando mai il tavolo da disegno nemmeno per un episodio, non può dare il meglio di sé. Intendiamoci, la sua narrazione è sempre ottimale e il suo storytelling limpido, ma se paragoniamo la sua produzione attuale con quella dei primi volumi, le sue tavole risultano prive di un qualunque guizzo artistico, il più delle volte abbozzate e dagli sfondi sacrificati.